I magnifici di 90min: Christian Vieri, al di là di ogni previsione
"Lesione del menisco e del legamento esterno del ginocchio sinistro".
A volte i sogni si spaccano nell'algida lettura di tecnicismi medici e anamnesi fredde, asettiche e lontanissime rispetto all'intensità del dolore di un legamento che si rompe o un osso che si spezza.
Quello di Christian Vieri di vincere un Mondiale, c'è da scommetterci, fece più male.
Nel suo caso, quella frattura è stata questione di secondi. La sera del 26 marzo a Monaco, mentre gioca contro il Paris Saint-Germain: Mendy lo stende mentre cerca di involarsi verso la porta avversaria, e la storia finisce lì.
"Lesione del menisco e del legamento esterno del ginocchio sinistro": appunto. Una sentenza.
Quando la diagnosi gli viene restituita, Bobo capisce che non partirà con il gruppo di Marcello Lippi, poi laureatosi Campione del Mondo.
Vieri in quel momento ha 32 anni, come quello strano numero di maglia che sceglierà alla Lazio e resterà nell'immaginario del calcio come il numero del bomber, il suo numero.
Sta vivendo una stagione strana, un po' più schizofrenica del solito rispetto al suo standard, dato che ha già cambiato due maglie: tutto per rincorrere quel sogno. Peccato che, come abbiamo visto, la sfortuna ci vedrà benissimo e glielo impedirà.
La prima delle due casacche del campionato 2005/2006 più che una maglia sarà una nemesi, possiamo dire la negazione dei suoi sei anni precedenti: il 1 luglio rescinde con l'Inter, il 5 firma con il Milan, forse anche un po' per vendicarsi di quel commiato con la squadra di Massimo Moratti che già da un po' ha deciso di ergere definitivamente a suo campione prediletto Adriano.
Al Milan Bobo però non ingrana, e si capisce già all'ottava partita che qualcosa non funziona. Contro l'Inter, ça va sans dire, entra al 29' del secondo tempo per Gilardino (con cui si sta giocando la convocazione in nazionale) e fa in tempo a vedere prima Stam pareggiare e Adriano a fissare il risultato sul 3 a 2 per la sua ex squadra. Ininfluente per il risultato finale, e sconfitto.
Un bilancio che sul girone di andata lo vedrà sostanzialmente comprimario di una squadra al top.
Troppo poco quel ruolo per il Vieri milanista, che complice l'aver davanti Shevchenko e Gilardino non può sperare sul serio di giocare con continuità: la fuga è una logica conseguenza di un bisogno, convincere Lippi a portarlo al Mondiale.
Ecco quindi la seconda maglia di quella stagione. Il 5 gennaio 2006 Bobo firma per il Monaco allenato da Francesco Guidolin. Nel Principato dovrebbe fare coppia con Di Vaio, ma soprattutto dovrebbe poter contare su un contesto più agevole per segnare, tenersi in forma, essere ciò che è sempre stato, una specie di pass partout per la vittoria.
È un'esperienza breve, per certi versi anomala: dura solo 76 giorni, 746' minuti (4' in più di quelli giocati al Milan): in quei tre mesi scarsi di Francia, Vieri veste la maglia numero 36, una cifra che sembra attribuirsi in maniera del tutto casuale così come sembra nato dal caso il fatto che sia andato a giocare in Francia (d'altronde, stiamo sempre parlando di Christian Vieri).
Debutta con il Bordeaux, perdendo 1 a 0 e soprattutto non segnando, e già questo fa un po' strano per uno come lui.
Nell'arco di quelle settimane, osservandolo da lontano, non si ha mai la sensazione che quella sia una specie di nuova Madrid in cui diventare meilleur buteur per la terza volta in carriera, forse a causa di un inspiegabile senso di inadeguatezza non tanto suo, quanto di ciò che gli sta intorno. In fondo, la Ligue 1 non sembra essere sul serio un campionato in grado di accogliere un Vieri, no?
Nel momento in cui Mendy gli fa fallo, le partite giocate sono 11 (quella compresa), in cui ha raccolto 5 gol e 2 cartellini gialli: agli inizi di marzo Bobo aveva saltato due partite per infortunio, eppure la rincorsa al Mondiale lo motivava abbastanza per fare il suo anche lì, in quello che per uno come lui non sarebbe stato che un buen retiro, altro che un'occasione di rilancio.
Capito che non potrà giocare Germania 2006, opta per operarsi e rilanciarsi in Italia, questa volta in una squadra di media classifica.
Firma prima per la Sampdoria, poi ad agosto rescinde perché il ginocchio fa ancora male e dice di non aver più motivazione. Qualche settimana dopo però firma per l'Atalanta con un contratto da minimo salariale e la consapevolezza che ci sarà da vivere un'attesa, che lo porterà nuovamente in campo la primavera successiva.
Durante quest'esperienza fa forse l'ultima cosa da Christian Vieri: un gol di autentica potenza, questa volta sfoderando il tiro dalla lunga distanza (non certamente il suo cavallo di battaglia). D'altronde, le fughe palla al piede sono sempre più rare, ma in fondo la tracotanza fisica non è sempre stato il suo tratto distintivo? Magari un po' dinoccolato, poco bello da vedere, ma chirurgico come pochi?
Se il fisico non può essere quello del ventenne, allora Vieri sceglie di scagliare quel pallone concentrandoci tutta la sua essenza: la distanza, se vista da questo punto di vista, sembra pure poca.
Sullo sfondo di quei giorni, quel senso di occasione persa per lui ma anche per noi tifosi: il peccato originale di non vederlo in Germania, con la Coppa del Mondo in mano, oltre che accompagnarlo un po' malinconicamente alla fine della sua carriera è anche il senso di ingiustizia del non poter vedere uno dei più grandi attaccanti del ventesimo secolo intestarsi un titolo, forse IL titolo per antonomasia, a coronamento di ciò che ha fatto per il calcio.
Dirà: "Il mio rimpianto più grande? Essermi fatto male nel 2005 (2006 ndr), a pochi mesi dal Mondiale poi vinto dall’Italia. Andai in crisi, mi ammazzò a livello sportivo". E chissà che quel dolore non abbia contribuito a fargli scegliere un commiato così, tutto sommato, pure poco notabile per uno così.
Per raccontare Christian Vieri, e forse capirlo fino in fondo, è doveroso partire dalla fine della sua carriera. Da questo finale un po' avvitato su di sé, alla ricerca del senso del giocare e del competere, ma anche del soffrire per fare gol.
Bobo Vieri, figlio di Bob e cresciuto come rugbista in Australia prima e Primavera del Toro poi, ha sempre fatto entrambe le cose, anche a compartimenti stagni: ha sofferto caterve di infortuni e ha segnato una montagna di gol, vivendo il suo modo di giocare come un agire che era dovuto al mondo, quasi fosse una missione.
Questo filo sottile di sofferenza nel giocare e segnare, come se la sua bravura dovesse sottostare a una condanna, quella di non veder riconosciuta con i titoli che avrebbe meritato la sua straordinarietà, ad anni di distanza appare più chiara.
Si è confuso, questo senso di malinconia, quando i giornalisti gli davano del musone per quella parlata decisa, un po' ripiegata su di sé, con quell'accento a metà fra il toscano e l'inglese appuntito in particolare quando c'era da attaccare la stampa perché gli si attribuiva un flirt o qualche marachella (come quando con la scusa del riscaldamento difettoso, lasciò il ritiro dell'Inter insieme a Di Biagio).
Vieri era semplicemente Vieri, con il suo carico di voglia di vivere e quella fame di gol che scaricava sul campo, e che sul campo non sempre i suoi compagni riuscivano ad accompagnare.
Girovago per indole, nel suo palmarès personale tre titoli su sette sono stati conquistati nella sua unica stagione alla Juventus (Campionato, SuperCoppa Europea, Coppa Intercontinentale): un anno che lo consacra e dove mostra cosa sia Vieri sul campo.
Di partite "dimostrative" nel suo anno torinese Vieri ne gioca diverse, ma val la pena citarne due. La prima è datata 15 maggio, un giovedì piuttosto piovoso in cui le voci sul suo trasferimento all'Atletico Madrid cominciano già a circolare.
Vieri segna una doppietta al Piacenza, due gol che sono una sorta di manifesto programmatico: nel primo, dopo uno stop di petto su lancio lungo di Porrini, calcia di mezzo collo una palla liftata (quasi svirgolata, diciamolo) che si infila nel sette con Marcon impotente. Il secondo è una di quelle fughe in avanti che sono un po' lente un po' straripanti: imbucata di Tacchinardi, Vieri che prende palla, salta Marcon non dribblandolo ma girandoci quasi attorno e piattone di sinistro.
La seconda è più simbolica, e risale a un turno serale piuttosto noto, quello in cui si gioca la partita con il Milan terminata 1 a 6. Vieri parte titolare e segna una doppietta, ma a fare un po' rumore è il "contro chi".
A marcare quella sera Bobo è infatti Franco Baresi, che semplicemente non riesce a contrastarlo in nessun modo. Sul secondo gol, in particolare, Vieri riceve palla da Zidane e affronta il leggendario capitano milanista come uno tsunami si abbatte su una costa caraibica, senza che l'avversario possa far nulla per fermarlo o arginare i danni.
È il nuovo che avanza contro un passato glorioso: un po' come dimostrerà Vieri al suo apice, un esemplare di attaccante classico in grado di far reparto da solo, senza la maturità tecnica di molti suoi colleghi coetanei ma con una capacità nel fare tutto difficilmente imitabile.
Dall'estate del 1997 dove approda ai colchoneros, la carriera di Vieri diventa un crescendo a livello personale. Arrivato dalla Juve all'Atletico, dopo un solo anno passa alla Lazio e arriva nell'estate del 1999 all'Inter: nello spazio di quattro stagioni, ha mosso complessivamente quasi 200 miliardi di lire vedendo il suo ingaggio crescere esponenzialmente.
Alla Lazio vince una Coppa delle Coppe segnando un gol dei suoi al Maiorca: non elegante forse ma certamente non banale, s'inventa una parabola di testa su lancio lunghissimo di Pancaro che scavalca Roa in maniera quasi beffarda e fa urlare Pizzul in telecronaca come ai tempi belli.
Vieri afferra per la coda il suo ultimo titolo continentale che alla fine vincerà, un po' curiosamente l'ultima edizione di una coppa che non sarà più giocata: sembra che da lì in avanti la sua carriera sia votata alla ricerca della sublimazione della sua superiorità, talmente evidente da non esser sostenuta da alcun club e per questo non adeguatamente certificata da titoli di squadra.
All'Inter, la squadra con cui raggiunge il ragguardevole traguardo dei 123 gol in 190 partite, si lega con una forma d'amore a modo suo autentico, fedele per gli standard di bomber giramondo che forse ne impedirà ad esempio la possibilità di vincere di più, dato che in quegli anni erano altre le squadre che trionfavano in Italia e in Europa. Un amore che vive fedelmente ma anche con la coda lunga delle storie che si trascinano con colpi bassi fra i due amanti, con il processo per i pedinamenti e intercettazioni che lo vedrà citare in giudizio il suo ex club (e perdere), e che entrambe gli amanti vedranno premiato da un solo trofeo (una Coppa Italia).
Forse troppo poco per un sodalizio che tutto sommato è stato sportivamente di valore.
Vieri però non era solo campo. Il suo è stato un cammino straripante anche fuori dal campo, dove ha influenzato anche ciò che calcio non era.
È durante i suoi anni milanesi che si ritrova anche al centro del gossip, con la prima delle relazioni glamour (quella con Elisabetta Canalis) che segnerà l'immaginario culturale italiano: "il calciatore e la velina", riedizione delle favole disneyane, porta a Vieri forse più problemi che vantaggi, visto che da quel momento l'etichetta di "tombeur de femmes" non gli si staccherà mai di dosso.
Sul lungo quella relazione (e le altre che seguiranno) lo colloca anche dal punto di vista archetipico, costruendogli attorno l'immagine del bomber per antonomasia: il cannoniere ricco, famoso, libero di esprimersi e glamour, cosa che orienterà anche il suo rapporto con la stampa che di fatto lo prende in simpatia pur alimentando quelle voci sul suo conto che tollererà sempre con malcelato fastidio.
Talmente forte questo legame ideale, in quanto padre putativo del "bomberismo", che addirittura negli anni lo porta a diventare testimonial di grandi marchi sfruttando proprio quest'associazione che il pubblico gli riconosce, c'è da dire con successo visto che in certi spot non potrebbe esserci nessun altro, se non lui.
Il 22 ottobre 2009 Vieri annuncia il ritiro, dicendo semplicemente che non ha più voglia di giocare a calcio. Ha 36 anni e alcuni dicono che si darà al poker professionistico, forse anche per dare continuità a quell'immaginario modaiolo che da sempre ne accompagna la sua immagine.
Non sarà così: Vieri mette in funzione un non comune intuito imprenditoriale, grazie in particolare alla sua visione cosmopolita che lo porterà ad esempio a rivoluzionare il modello narrativo attorno al calcio grazie alla sua BoboTV, o come ha raccontato al recente Social Football Summit, investire nel mondo degli eSports insieme al suo amico Bernardo Corradi.
Tutte le iniziative che realizzerà o dove sarà coinvolto saranno coerenti con quel suo modo di essere in campo: verace, senza fronzoli, diretto e decisamente trascinante. Un post carriera che agli inizi forse non ci si sarebbe atteso, visto che solitamente quelli come lui vengono considerati sgraziati, poco fluidi, anche difficili da gestire, tutte caratteristiche poco abbinabili a un imprenditore di successo.
Lui però è Vieri, e dalla sua ha sempre avuto i numeri, i risultati, e la credibilità che soprattutto in campo ha dimostrato di avere. Forse non ci si rende conto di quanto, partendo dai propri limiti e circoscrivendoli progressivamente, sia stato in grado di andare oltre qualsiasi previsione diventando uno dei migliori attaccanti italiani: forse l'unico che ci ha sempre creduto era proprio lui.
D'altronde lui è Vieri, inarrestabile, efficace, trascinatore, unico nel suo genere.
E fenomeni così sono difficili da prevedere per chiunque.