I magnifici di 90min: Roberto Carlos, inarrestabile
Guardando le sue foto oggi, sembra che Roberto Carlos sia diventato una specie di statua a futura memoria di cosa fosse il calcio di fine secolo. Un blocco unico di muscoli, arrotondato leggermente sulla fascia addominale da un tessuto adiposo di quello cui puoi solo arrenderti ad avercelo perché te lo danno in omaggio con il tempo che passa: nonostante questo sembra ancora scultoreo, in un certo senso eterno.
Ancora non si è capito come si diventi "eterni" nel calcio e che forma abbia l'eternità, anche se possiamo immaginarlo: la definizione più razionale è che rimane per sempre ciò che sa segnare talmente tanto l'immaginario da andare oltre anche lo sport che cambia, il modo di intendere la prestazione, anche i corpi che inevitabilmente cambiano e diventano sempre più "macchine".
E Roberto Carlos, anche guardandolo così, invecchiato con i suoi quasi 49 anni, resta ancora IL terzino sinistro, più vicino al cyborg che non al semplice umano, ultraterreno più che di questo mondo. Tempo fa Dario Saltari su UltimoUomo si è chiesto chi fosse più forte fra lui e Marcelo, un altro che probabilmente verrà ricordato anche più a lungo di quanto avrebbe fatto dire la sua collocazione in campo.
Una domanda lecita, che però viene posta non seguendo fino in fondo il principio secondo cui se oggi esiste un identikit preciso del terzino "forte", bisogna ringraziare il brasiliano di Garça.
Roberto Carlos ha tracciato un solco non solo temporale ma di immaginazione, e lo ha fatto probabilmente anche grazie al fatto che vestisse la maglia che più si prestava per regalare dei sogni: quella del Real Madrid.
In Italia abbiamo imparato a conoscerlo come il simbolo di tutti gli abbagli: quando l'Inter lo cede per incomprensioni di Hogson che lo schierava a centrocampo compie forse uno degli errori più grossolani che il calciomercato ricordi (forse pari solo alla cessione di Henry dalla Juventus all'Arsenal).
Le immagini ci consegnano una verità strana, diversa dalla credenza popolare che all'Inter abbia fatto poco: rjvisto in pantaloncini e casacca nerazzurre, Roberto Carlos sembra la più perfetta delle metafore del diamante grezzo. Il tiro è legnoso, sembra strozzato nell'energia che sprigiona, non è una linea retta ma un tratto di matita ancora incerto. La corsa è energica, ma non ancora furente. Il carisma è ancora in divenire, come debba ancora sbocciare.
Quello che gioca nell'Inter è un "preambolo" di Roberto Carlos, con i capelli e i tratti ancora acerbi, la fisicità che sembra già indirizzata verso la definitiva consacrazione ma che ancora deve ancora finire di formarsi, qualche sbavatura nel dribbling che lo rende arrestabile.
Colpa dell'età, certo. Ma qui in Italia, si sa, non sempre si ha a che fare con un movimento paziente.
E infatti, proprio perché forse non lo si sa aspettare, Roberto Carlos va da in Spagna e le cose cambiano.
"Ho parlato con Moratti e gli ho chiesto di lasciarmi andare. Sono andato a Madrid per Fabio Capello, è l’allenatore più importante della mia vita"
- Roberto Carlos
A quel punto la storia prende una piega diversa, definitiva.
Non sappiamo se Roberto Carlos sarebbe diventato lui anche altrove, se avrebbe progressivamente scalato le gerarchie del calcio fino a diventare ciò che è oggi. La grandeur del Real Madrid però sembra ispirarlo, tanto che mano a mano che passano gli anni lui diventa ancor più splendido.
Dei suoi punti di forza è stato detto tanto: progressione, potenza, intensità. Uno che forse passa sotto traccia è quello di esaltare la grandezza di chi gli stava di fianco.
In mezzo a Romario, Ronaldo, Rivaldo, Ronaldinho, e poi Adriano, Kakà, Juninho fino ad arrivare a Cafu e Robinho, la sua presenza sembra essere un ingrediente magico, un filo conduttore che unisce campioni di epoche diverse e che contraddistinguono la nazionale verdeoro.
Vincerà il Mondiale 2002, Roberto Carlos, l'apogeo del suo giocare in nazionale che però, forse, non è neanche il momento in cui intravedere la sua sintesi esemplare.
Nel Mundialito di rappresentanza come il Torneo di Francia del 1997 si verificano due cose che in qualche modo sono il manifesto del Roberto Carlos che abbiamo imparato ad amare.
La prima è Brasile - Italia dell'8 giugno, dove in una serataccia per Pluto Aldair (rigore procurato e autogol) a brillare sono quattro stelle: quelle di Ronaldo e Del Piero, l'extraterrestre e il campione terreno che si sfideranno poi in Serie A, di Romario che pareggia la sfida un gol clamoroso e infine di Roberto Carlos, che propizia l'autogol di Lombardo e sigla un assist.
Il secondo è qualcosa che a guardarla a quasi 25 anni di distanza appare illogica ancora oggi: parliamo della punizione tirata contro la Francia, nel match che apre il torneo e che in tanti hanno definito la più bella della storia del calcio.
I commentatori RAI si interrogano sul fatto che quel pallone definisca una traiettoria impossibile. Sono domande cui, in effetti, in tanti si sono posti: "Come ha fatto?", "Ma come ci è riuscito?", "Ma avrà voluto tirare proprio così?".
Talmente tanto è stata indagata, quella punizione tirata in un'amichevole (perché sì, alla fine parliamo di una partita amichevole), che di mezzo ci si è messa anche la scienza.
Alcuni scienziati sono riusciti a definire come quel Banana Kick così perfetto sia stato motivato dall' effetto Magnus, in una situazione dove la palla tagli l'aria in maniera imprevedibile, proponendo una traiettoria più vicina a quella del tennis che non a una rintracciabile in un campo di calcio.
Dopo quell'episodio la sua abilità a calciare di potenza con precisione chirurgica diventa talmente iconica che arriva a influenzare anche nei videogame, dove viene equiparato a specialisti come Rivaldo o Recoba.
Per i gamer di quella generazione non ancora aspiranti miliardari star di Twitch, che sceglieranno nella disputa epica fra FIFA e ISSPRO (oggi Pro Evolution Soccer) il secondo, Roberto Corlos, l'avatar del brasiliano chiamato così per problemi di diritti, diventerà l'unico giocatore in grado di segnare su punizione con la barra della potenza caricata al massimo.
Roba da nostalgici, se si ci ripensa in un'epoca dove i videogame sono diventati qualcosa di diverso che un semplice collettore di socialità per adolescenti.
Vista da questa angolazione la carriera di Roberto Carlos sembra si sia limitata a un efficienza smisurata nella fase offensiva. La sua interpretazione del ruolo di terzino è stata invece completa in tutto e per tutto, con una lucidità incredibile anche in ciò che era la presenza attorno all'area che è stata di Illgner, Casillas e Pedro Lopez.
Si potrebbe pescare in un repertorio molto vasto di rovesciate a spazzare l'area di rigore, coperture e raddoppi di marcatura, anticipi e scivolate che raccontino una propensione naturale a gestire la fascia sinistra come se fosse una zona totalmente in suo controllo: val la pena però rivedere una scena presa da un Clásico giocato ovviamente fra Real Madrid e Barcellona, quando vittima della sua grandezza diventa un altro grande campione come Ludovic Giuly.
Il francese insegue il pallone lanciato nello spazio, leggermente in vantaggio. Roberto Carlos però, come fosse una cosa naturale, lo rincorre e lo supera con una diagonale chirurgica, anticipandolo e prendendo possesso della sfera. Il tocco è lungo per fargli prendere slancio, forse un po' troppo perché la sfera si avvicina pericolosamente verso la linea laterale.
Il giocatore normale, in quella situazione con l'avversario in pressione, probabilmente tenterebbe la torsione a caricare il tiro e calciare lontano di prima. Roberto Carlos, che di normale però nel suo modo di giocare non ha nulla, controlla il pallone, rallenta e come fosse la cosa più naturale lo salta in tunnel. Giuly lo guarda spazzare mentre si gira e capisce che ormai lì, in quel momento, non ci può fare più nulla.
C'è forse solo una cosa che Roberto Carlos, durante la sua carriera, farà NON da Roberto Carlos.
Quando lascia il Real Madrid a 34 anni, in una maniera forse anche un po' imprevedibile, comincia a girovagare per campionati minori, inseguendo progressivamente situazioni sempre più anticonformiste e remunerative. Sceglie prima il Fenerbahçe, dove gioca due stagioni e mezze (104 presenze, 10 gol) e vince anche qualche trofeo locale. Prova a tornare al Real Madrid, non riesce e sceglie di accasarsi al Corinthians, idealmente il posto dove vivere serenamente un finale di carriera più poetico e adatto a un eroe nazionale come lui.
Nel 2011, invece, a 38 anni viene chiamato dall'Anzhi, squadra russa che rilevata dal discusso magnate russo Sulejman Kerimov diventa famosa in Italia per l'acquisto dall'Inter del camerunense Samuel Eto'o, cui verrà offerto uno stipendio fuori mercato (per i tempi) di circa 20 milioni di euro.
Roberto Carlos è il primo degli acquisti faraonici di Kerimov e viene anche nominato capitano della squadra. Quando arriva Guus Hiddink ne diventa vice, sostanzialmente smettendo di giocare.
Conclusa l'esperienza in Daghestan, nel 2015 farà ancora una comparsata come allenatore/giocatore in India al Delhi Dynamos, club diventato famoso perché nel 2014 ospiterà per nove turni Alessandro Del Piero.
Una caduta libera verso mondi calcisticamente lontanissimi dalla sua grandezza, ma che raccontano forse molto di come i grandi campioni affrontano il proprio addio al campo anche scegliendo luoghi dove poter ancora essere il migliore di tutti.
Oggi Roberto Carlos non è un allenatore. Rappresenta il Real Madrid come ambasciatore, gira il mondo e mette su Instagram immagini di sé, dei suoi viaggi e dei suoi allenamenti, oltre che di rendez-vous molti simpatici con alcuni leggendari ex compagni.
Il tutto ha un vago sapore nostalgico, come di un qualcosa di eterno che oggi ricordiamo con piacere e che quando ci ritroviamo a rivedere ci ricorda da dove tutto è nato.
Il calcio di oggi, con la sua velocità esasperata e la sua potenza fuori controllo, sembra affondare le radici in campioni come lui che già trent'anni fa mostravano che cosa si sarebbe potuto fare su un campo di calcio. Un po' come quando parlando di rock si dice che tutto ha avuto origine da Chuck Berry.
D'altronde, a che genere potremmo avvicinare uno che quando correva sulla fascia, sembrava alzare talmente il ritmo da sembrare inarrestabile?
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