I Magnifici di 90min: Ruud van Nistelrooy, lo straordinario e incompiuto
Se sei un calciatore e segni 327 gol in 517 presenze (trecentoventisette) e rientri nella Top 10 dei migliori cannonieri di Champions League, puoi considerarti soddisfatto della tua carriera? Se poi tutto questo lo hai fatto vestendo (fra le altre) le maglie di due dei club più importanti al mondo?
La risposta a naso sarebbe sì per tutti, anche se nel caso di Ruud van Nistelrooy, professione cannoniere, non così automatica.
Perché la sua, di carriera, è stata fatta anche di tante piccole occasioni mancate, come crepe invisibili in un muro che ne minano la stabilità e se devi piantarci una mensola fai attenzione e poi alla fine desisti perché hai paura che ceda.
Van Nistelrooy è stato uno dei primi attaccanti "completi" nel vero senso del termine, forse meno tecnico di Ibrahimović ma con la stessa strabordanza fisica, unita al senso del gol difficilmente eguagliabile, probabilmente secondo solo a quello di Inzaghi. Gran colpitore di testa, con un'accelerazione importante e abilità nel calciare in tutte le situazioni, vive la decade che apre il millennio sempre in predicato di essere il migliore fra i migliori, in grado di giocarsela con quelli che poi la storia l'hanno fatta davvero.
Eppure, per qualche strana ragione, alla fine no, in quel club esclusivo sembra non entrarci di diritto.
Pur segnando tanto, tantissimo, se oggi vai a pensare al numero 9 che ti porteresti a casa potessi scegliere senza barriere di spazio e tempo, è probabile che non penseresti a lui, nonostante sia stato secondo l'IFFHS il miglior attaccante del decennio 2001-2011.
Possibile che questa sensazione latente sia da originata dal palmarès, che vede una lacuna principale nel suo percorso l'assenza di un titolo internazionale di squadra, ma non solo.
Perché comunque van Nistelrooy è stato veramente un attaccante completo, forte, di razza, con l'ossessione del gol talmente radicata nella mente che alcuni raccontano, durante gli anni del Manchester United, che alla fine di ogni partita chiedesse prima di tutto se Henry avesse fatto gol (potenzialmente l'unico in grado di strappandogli la guida della classifica marcatori, che in effetti vincerà nel suo quinquennio in red una volta sola anche per colpa del francese).
Il suo essere bravo a fare un po' tutto emerge anche numericamente: nel PSV gioca con la maglia numero 8, che per dire in Italia fra gli attaccanti ad alti livelli sdoganò proprio Ibrahimovic, e segna in modi non convenzionali, tipo quando contro il Roda ruba un pallone a centrocampo e segna da circa 45 metri circa con un tiro che ti aspetteresti da uno alla Juan Sebastián Verón,
Cose non convenzionali. insomma, che motivano Sir Alex Ferguson a tenerne in ghiaccio per un anno l'acquisto dal PSV quando si spacca il ginocchio in allenamento, facendolo arrivare allo United un anno dopo, nell'estate 2001 (episodio quasi archetipico per descrivere la capacità di un allenatore bravo di vedere oltre tutto) .
Da lì è una volata fino al ritiro che avviene nell'estate del 2012 dopo una stagione dal sapore triste, solitario y final al Malaga, nel segno di una ricerca forsennata della grandeur calcistica, quella che ti permette di non sfigurare al fianco di chi questo sport lo ha segnato.
Perché è andata così?
Forse perché la sua è anche la storia di un carattere non propriamente semplice.
Van Nistelrooy segna, dicevamo, ma nel mentre litiga un po' con tutti, avversari e compagni di squadra, allenatori e membri dello staff. A volte cambia le regole del gioco quando in campo decide di diventare una specie di clone orange di Ronaldo (intendiamo Luiz Nazario da Lima), e segna contro il Fulham un gol un pazzesco, roba non credibile se consideriamo la sua stazza; altre volte, mette in scena spettacoli per certi versi divertenti ma che hanno sempre un po' il sapore dell'incompiutezza.
Succede sempre nel 2003 nel famoso Battle of Old Trafford, la sfida contro l'Arsenal che lo vede protagonista di un doppio episodio: prima fa espellere Vieira in una maniera furba, da artista, roba da professionisti della provocazione, e poi sbaglia il rigore decisivo all'ultimo minuto, generando una sorta di reazione animale da parte dei Gunners di Arsene Wenger, che lo vanno letteralmente a cercare alla fine della partita nonostante il pareggio.
Nel filmato si vede Martin Keown (che il rigore lo ha causato) non avere neanche tante remore a dire ciò che pensa alla fine del match. Ed è proprio parlando del difensore inglese e di quell'episodio che comincia un interessante Q&A a Oxford dove emerge tutto il carattere dell'attaccante di Oss.
Pungente, istrionico e senza paura di dire ciò che pensa, in un contesto distante da dove ti aspetteresti trovarlo, van Nistelrooy apre le porte del cuore agli uditori mostrandosi rispettoso ma allo stesso tempo forse consapevole che parte della sua carriera sia stata indirizzata dal suo essere spesso troppo pieno di sé, ma non vergognandosene, anzi. Un po' come dire "Sì, sono così, non sono perfetto ma in fondo chissene".
Per esempio: nessuno probabilmente si ricorderà chi sia Antoni Lima. La sua fama è collegata a un episodio sostanzialmente scollegato a qualsiasi merito sportivo (talmente curioso che è finito nella sua pagina Wikipedia) che risale al 7 settembre 2005, in una partita fra Olanda e Andorra per le qualificazioni mondiali.
Una partita a senso unico, dall'esito già scritto sin dal sorteggio, che viene animata da uno scambio abbastanza infantile: tutto comincia quando van Nistelrooy sbaglia un rigore e il povero Lima, già autore di un autogol, deride il numero 9 orange forse per togliersi di dosso la tensione di averlo anche procurato, il rigore. Poco dopo però l'olandese segna su azione, parte per andare a festeggiare ma cambia idea, torna al centro dell'area solo per esultare in faccia all'avversario decisamente meno rinomato, che quando vede la scena fa la faccia di quello che dice "Ma dai, non stai facendo seriamente" (e, in fondo, chi lo avrebbe veramente fatto?).
Ora, parliamoci chiaro: se sei un attaccante milionario che sta lottando per la Champions League, che ti importa se un dopolavorista di Andorra ti provoca in una partita inutile delle qualificazioni mondiali? Voglio dire, siamo sempre nel campo del semi-dilettantismo, la tua vittoria non è prenderti i tre punti (scontati) ma sapere che quando la partita sarà finita tu tornerai a una vita dorata mentre il tuo avversario no. Perché metterti al suo piano?
Il fatto è che van Nistelrooy, di questa voglia di emergere sempre e comunque, schiacciando ciò che di diverso dal suo modo di essere si palesa sul suo cammino, farà un po' una cifra stilistica per tutta la sua carriera, sia esso il capitano dell'Arsenal o un dopolavorista di Andorra.
Nella sua autobiografia ad esempio Alex Ferguson racconterà che uno dei pochissimi a tenere testa a Roy Keane era proprio van Nistelrooy: nel tempo, però, questa sua consapevolezza di essere forte lo porterà ad avere difficoltà un po' con tutti, dai compagni di squadra all'allenatore, dallo staff agli avversari.
Il fatto è che van Nistelrooy viveva come giocava in campo: si aspettava di essere il destinatario dell'ultimo passaggio, di chiudere l'azione, di siglare la marcatura e, di conseguenza, diventare quello di cui ci si ricorda. Segnerà reti fenomenali ma avrà come una sorta di blocco quando gli saranno avvicinati calciatori potenzialmente in grado di metterlo in ombra: è sempre Ferguson a raccontare che la prima richiesta di cessione arriverà quando all'orizzonte verrà palesato l'arrivo di Wayne Rooney allo United.
Questa sua vocazione alla grandezza è sempre confermata dalla clausola che viene fatta inserire nel contratto con gli inglesi: una sorta di pre-accordo in caso di offerta da parte del Real Madrid, probabilmente l'unico club che si può considerare un punto d'arrivo nel calcio professionistico.
Sembra che van Nistelrooy lavori durante la sua carriera con il chiaro obiettivo di entrare nel gotha, e qualsiasi cosa lo possa rallentare lo infastidisca: Cristiano Ronaldo, ad esempio, sarà per lui non solo un compagno importante sul campo ma anche un bersaglio nello spogliatoio. Il portoghese lo ritroverà nel 2009 al Real, quando giocheranno un semestre insieme (l'olandese andrà poi all'Amburgo nel gennaio 2010, e chissà che la cosa c'entri in qualche modo).
Questa sua voglia di essere sopra tutto sarà in parte restituita sul campo a chi lo vedrà giocare, trovando dopo i cinque anni in Premier una serie di picchi notevoli anche nel suo quadriennio spagnolo: ad esempio fra i dieci gol più belli che siglerà in blanco, val la pena segnalare la marcatura contro il Valencia nel 2006/2007.
Un'azione della squadra di Capello che è un manifesto del calcio del ventunesimo secolo e mette in mostra cosa fosse in grado di fare van Nistelrooy: Salgado lancia lungo e trova la testa dell'olandese, che appoggia su Higuain, che di prima triangola con Diarra e tocca di tacco per Robinho, il quale si appoggia su Gago che allarga per Torres che accorre sulla sinistra, calcia di prima sul secondo palo dove del Horno può solo guardare van Nistelrooy prendere la mira mentre il pallone scende e calciare fortissimo di collo sul palo lontano. Tocco di apertura e chiusura, incipit e firma, principio e fine come piaceva a lui.
Così come capitato a Manchester anche a Madrid van Nistelrooy non troverà modo di vincere la Champions League, che oltre a essere un titolo è anche il passepartout per l'immortalità sportiva. Una lacuna che lo accumunerà ad altri illustri membri del club dei "Campioni che non hanno vinto la Champions", e che a dispetto di altri prestigiosi colleghi che si toglieranno qualche soddisfazione in nazionale (ad esempio Buffon) non vedrà la rappresentativa del proprio paese il luogo dove sublimare questa mancanza.
8 al PSV, 10 allo United, 17 al Real, 9 nell'Olanda: van Nistelrooy è stato un po' tutto, come i suoi numeri di maglia: potenza e precisione, eleganza ed efficacia, creatività e concretezza. È stato titolare e inamovibile, panchinato per indisciplina e nazionale, ha vinto e perso. In un calcio che va veloce, il suo è uno di quei casi in cui molti potenziali grandissimi rimangono grandi fino a un certo limite, che il più delle volte è da ricercarsi nella sfera più intima del proprio Io.
Oggi allena la squadra riserve del PSV, van Nistelrooy. Chissà se ai suoi ragazzi racconta la sensazione di sentire il muro rosso dell'Old Trafford mentre, a ogni gol, urla come un solo uomo "Ruud Ruud Ruud". Chissà se gli spiega cosa può esser utile per essere il più grande. Chissà se si sofferma anche su quello che è meglio evitare, per arrivare nell'Olimpo.