I restyling più audaci e discussi nella storia delle maglie dei club italiani

La maglia bandiera della Lazio o quella ghiacciolo della Roma, Juve e Inter senza strisce e il giglio alabardato della Fiorentina anni '80: storia di scelte controverse.
AS Photo Archive
AS Photo Archive / Alessandro Sabattini/GettyImages
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Il periodo estivo si traduce spesso in un senso di costante attesa: quella rivolta alla nuova stagione, quella (prioritaria) che si concentra sui nomi di mercato accostati alla propria squadra del cuore e - di fatto - l'attesa per la nuova maglia. Un rito sempre più spesso "anticipato" da presentazioni sul finire della stagione, per quella successiva, che vede i tifosi chiedersi se il proprio club abbia scelto di percorrere la via sicura della tradizione o se, al contrario, abbia provato a spingersi oltre, osando a livello cromatico o di template.

Nel corso dei decenni, in particolare dalla fine degli anni '70 in poi, la presentazione di una nuova maglia si è tramutata anche in un'occasione ideale per reinventare l'identità visiva ed estetica di un club: non solo il mero aggiornamento di schemi già visti, dunque, ma la volontà di intaccare ciò che era consueto e scontato, tra coraggio e tratti d'incoscienza. Tentativi di adeguamento che spesso seguivano anche altri aspetti della vita di un club, con riferimento ad esempio alle canzoni e agli inni ufficiali, e che finivano per risultare divisivi negli effetti: evocativo il titolo "Piaccia o no la maglia è questa", apparso su La Nazione all'indomani della presentazione della divisa 1981/82 della Fiorentina.

Per restyling non s'intende qui riferirsi alla comune variazione sul tema, alle strisce più o meno larghe o a un colletto che cambia forma: si tratta di ribaltamenti storici che sono andati a intaccare certezze, a togliere riferimenti profondi e ormai interiorizzati da tifosi e addetti ai lavori (le strisce per Inter e Juve, il giallorosso per la Roma, la tinta unita azzurra per il Napoli, il giglio per la Fiorentina e altri riferimenti simbolici indelebili). Vediamo dunque, tra sponsorizzazioni ingombranti e tradizioni ribaltate, gli esempi più eclatanti di quanto descritto nel contesto della Serie A (o della Serie B, nei casi di Lazio e Napoli).

1. Roma 1979/80

Roma
Roma 79/80 / FootballKitArchive

Parliamo di anni a loro modo pionieristici e di esordio per le sponsorizzazioni e le trovate più creative sulle maglie da calcio, con uno spazio sempre maggiore per idee che esulassero dalla semplice riproposizione dei colori sociali (con piccole differenze legate alla vestibilità o al colletto). La Roma, sul finire degli anni '70, regalò soluzioni divenute poi di culto: da un lato il Lupetto di Gratton come stemma, rimasto poi stabilmente sulle maglie fino alla metà degli anni '90, dall'altro le divise delle stagioni 1978/79 e 1979/80 con la firma dello stesso Gratton.

Si tratta di divise che, per la prima volta, andavano a toccare il giallo e il rosso come colori unici sulla maglia della Roma: il bianco e l'arancione andavano a creare un effetto "sfumato" nella parte alta della divisa e sulle maniche, assegnando alla maglia l'appellativo (riuscito, poiché rimasto nell'immaginario) di "maglia ghiacciolo". Non si trattò di ripescare chissà quale aspetto della tradizione ma della pura e semplice voglia di innovare: una parentesi confinata a una stagione e mezzo (all'inizio del 78/79 la maglia di casa era arancione) ma rimasta senz'altro nella memoria dei tifosi, tutt'altro che inosservata o banale.

2. Fiorentina 1981/82

Pietro Vierchowod
Vierchowod 1981/82 / Alessandro Sabattini/GettyImages

In questo senso, rispetto al discorso legato alla Roma e alle trovate di Gratton, si entra a gamba tesa nell'ambio del marketing e di scelte societarie volte a valorizzare - in senso commerciale - il marchio. La Fiorentina non più come nome della squadra di calcio di Firenze ma anche come veicolo di sponsorizzazione, collegando la F di Firenze a quella di del marchio JD Farrows e realizzando il famoso giglio alabardato che ha caratterizzato l'era Pontello (ripreso poi, per una sola stagione nel 2021/22)

Si sottolinea, in questo caso, la reazione incredula di parte della tifoseria e della cittadinanza a quello che venne vissuto - nel luglio del 1981 - come un affronto al simbolo del giglio e alla maglia della Fiorentina, fin lì sempre interamente viola. Il vistoso cerchio all'interno del quale si poneva questo nuovo giglio sanciva un tratto di discontinuità, così come la presenza del rosso sul colletto e i pantaloncini viola e non più bianchi/neri. Sul momento la reazione fu dura, con tanto di recriminazioni rimaste inascoltate, ma col passare dei decenni la maglia (come quelle degli anni successivi) è divenuta di culto.

3. Lazio 1982/83

Lazio
Lazio 1982/83 / FootballKitArchive

A differenza di Roma e Fiorentina, società citate fin qui a proposito di audaci restyling, la Lazio aveva regalato soluzioni diverse anche nei decenni precedenti rispetto alla divisa che abbiamo scelto di approfondire (scelta obbligata, trattandosi di uno degli esperimenti più memorabili di innovazione). Maglie a quarti biancocelesti, strisce verticali oppure maglia bianca con dettagli celesti: la storia del club capitolino - anche ben prima degli anni '80 - è stata caratterizzata da una sporadica discontinuità rispetto alla maglia celeste con dettagli bianchi ma è evidente che la "maglia bandiera" sia meritevole di una speciale menzione.

Si tratta di una maglia indossata (in materiali e con main sponsor diversi) sempre in B, nel 1982/83 e nel 1986/87, una divisa nata su spinta dell'allora patron Casoni che vedeva l'aquila stilizzata porsi a metà tra una parte inferiore celeste e una superiore bianca. Esperimento - con Ennerre come sponsor tecnico - rimasto nella memoria dei tifosi e degli appassionati, tanto da salutare poi con piacere (e successo commerciale) l'operazione di revival svolta da Macron nel 2018/19.

4. Parma 1998/99

Juan Veron of Parma
Juan Veron / Getty Images/GettyImages

La maglia a scacchi gialli e blu degli inizi (col Verdi FC) ha poi lasciato spazio, in modo radicato e continuativo, alla classica divisa bianca con croce nera: una soluzione rimasta invariata (se non per un'eccezione a strisce verticali gialloblù negli anni '50) fino agli anni '80 e a un passaggio a template diversi per questioni di sponsorizzazione. La croce nera non dava modo ai vari sponsor di essere messi in evidenza, dal 1983/84 si iniziò dunque a optare per il bianco sulla maglia di casa e sul blu per la maglia da trasferta, con dettagli in giallo.

La svolta a cui vogliamo riferirci è però quella del 1998/99, parliamo di un Parma capace di raggiungere una dimensione storica del tutto lontana rispetto a quella del passato, affacciandosi con successo anche al palcoscenico europeo. Un Parma associato indelebilmente alla maglia a strisce orizzontali gialloblù: il nodo della sponsorizzazione sulla maglia crociata rimaneva insormontabile, l'insoddisfazione dei tifosi portò dunque a una modifica rispetto al semplice bianco e a una vera e propria rivoluzione dell'estetica rugbistica. Si tratta di una divisa rimasta nell'immaginario collettivo, associata peraltro a campioni del calibro di Thuram, Veron e Crespo, tornata poi tra le soluzioni adottate dagli emiliani (anche dopo il ritorno in pianta stabile alla maglia crociata a partire dal 2005).

5. Napoli 2002/03

SOCCER-MARADONA JR.
Napoli / FRANCO SILVI/GettyImages

Il Napoli, così come la Roma o la Fiorentina, non ha concesso nel corso della propria storica concessioni particolarmente audaci a livello di template, idee che esulassero dalla tinta unita azzurra con dettagli bianchi. Le sole modifiche - nel corso della storia del club partenopeo - avevano riguardato la forma e il colore del colletto (azzurro oppure bianco) e occorre proiettarsi fino al 2002/03 per scoprire qualcosa di radicalmente diverso e di decisamente controverso. Il Napoli viveva annate a dir poco convulse a livello societario e sportivamente tragiche, con tanto di quindicesimo posto in Serie B come preambolo al fallimento dell'annata successiva.

Accanto alle criticità di una stagione da dimenticare si sottolinea anche la reazione tutt'altro che soddisfatta dei tifosi di fronte alla maglia del 2002/23, realizzata da Diadora: una maglia che nella parte superiore era azzurra e che nella parte inferiore era a strisce verticali che rimandavano esplicitamente all'Albiceleste, all'Argentina. Il legame tra Napoli e l'Argentina non era chiaramente in discussione, nel nome di Maradona, ma l'allontanamento dalla tradizione (criticato) e gli esiti sportivi emersi sul campo spinsero l'allora presidente Naldi - nelle ultime sfide della stagione - a sancire il ritorno alle maglie azzurre, più classiche, usate nella stagione precedente.

6. Inter 2014/15

Mauro Emanuel Icardi
Icardi / Valerio Pennicino/GettyImages

Entrambe le squadre di Milano vantano un legame storico profondo coi propri colori sociali: sia l'Inter che il Milan sono infatti nate coi colori che le hanno poi contraddistinte in seguito, da un lato i riferimenti alla notte e al cielo notturno, dall'altro (pensando al Milan) il rosso del fuoco e il nero della paura. Nel caso del Milan le strisce rossonere sulla prima maglia non sono mai venute meno mentre l'Inter, da 10 anni a questa parte, si è concessa diverse variazioni sul tema ed è arrivata a proporre - con Nike - soluzioni diverse dalle strisce nerazzurre.

La stagione 2014/15 rappresenta l'esempio più eclatante delle scelte coraggiose e inedite per cui Inter e Nike hanno optato: non più strisce nerazzurre ma maglia nera con sottili linee verticali azzurre, una sorta di effetto gessato al posto delle strisce. Già nella stagione precedente la maglia non era stata immune da critiche, per un azzurro così scuro da confondersi col nero, ma l'assenza totale di strisce resta un unicum storico: i tifosi riconobbero l'eleganza del kit ma si trovavano serenamente ad ammettere come "non fosse una maglia dell'Inter". Esperimento riuscito in senso astratto, come impatto estetico, ma decisamente indigesto di fronte a un binomio inscindibile come quello tra la Beneamata e le strisce nerazzurre.

7. Juventus 2019/20

Cristiano Ronaldo of Juventus reacts during the Champions...
Cristiano Ronaldo / Andrea Staccioli/GettyImages

Si parla ancora di strisce, stavolta riferendoci a un club che inizialmente aveva colori differenti (il rosa e il nero del liceo D'Azeglio) ma che - di fatto - è sempre stato associato alle strisce bianconere fino dai primissimi anni del '900. Sempre...o quasi. Anche la Juventus, come l'Inter, si è infatti concessa una coraggiosa deviazione dal tragitto storico e lo ha fatto tra l'altro in concomitanza con altri eventi dalla portata significativa: un nuovo logo presente già da qualche anno sulla maglia, la scelta di abbandonare il risultatista Allegri per puntare su Sarri e su un gioco "dalla vocazione europea", l'auspicio di non farsi bastare lo Scudetto come obiettivo ma di completare un percorso di crescita fuori dai confini nazionali, anche all'insegna di un gioco più propositivo.

Propositi che, al di là della conferma come campioni d'Italia, non trovarono poi il riscontro del campo e non si tradussero in un cambio di paradigma. Al contempo anche la maglia, non più a strisce ma a bande bianche e nere interrotte da una linea rosa verticale, venne accolta da critiche tanto pesanti quanto prevedibili: come nel caso dell'Inter 2014/15 le critiche non erano rivolte all'estetica della maglia in sé ma all'accostamento alla Juve di una soluzione aliena alla storia bianconera. E anche in questo caso, pur in presenza di strisce "creative" negli anni successivi, l'assenza del classico template è rimasta una parentesi di un solo anno.

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