Il "Dottor" Socrates, ribelle degli anni '90: ripercorriamone la carriera a nove anni dalla scomparsa
Domani, 4 Dicembre 2020, sarà l'anniversario della morte di Socrates. Nato a Bèlem nel Febbraio 1954, Socrates Brasileiro Sampaio Souza fu regista della Nazionale brasiliana tra la fine degli anni '70 ed i primi anni '80. Personalità forte, eccentrica, tanto in campo quanto fuori. Il calciatore brasiliano, infatti, possedeva tre grandi passioni: da una parte il calcio e la politica, che lo portarono in alto, facendoli acquisire fama e prestigio, dall'altra, invece, l'alcol, che lo portò via da un mondo in cui la sua impronta ebbe grande importanza e rapida diffusione. Ma procediamo con ordine.
Gli inizi di carriera vedono Socrates impegnato con la casacca del Botafogo, sua prima squadra professionistica, in cui gioca dal 1972 al 1977, collezionando ben 157 presenze e segnando 24 gol: non male per un centrocampista con compiti di impostazione come lui. Ma la sua affermazione tecnica e mentale, non solo nel calcio brasiliano quanto anche nel panorama europeo, si ha durante la sua militanza al Corinthias, la squadra del ceto popolare e la seconda più amata in Brasile: qui, non solo Socrates si afferma come centrocampista goleador (297 match e 172 reti), dal facile inserimento e dalla balistica prepotente, ma anche come uomo rivoluzionario. Condivide, infatti, le stesse idee politiche del direttore tecnico Adilson Monteiro Alves, che lo promuove capitano e che mette in atto la cosiddetta "Democracia Corinthiana"; non esiste, infatti, alcun allenatore, Socrates e compagni autogestiscono situazioni sia in allenamento sia in partita, ed al momento di prendere una decisione, si è soliti andare al voto, proprio in maniera democratica. Curioso come, in tale situazione, il parere del magazziniere o del preparatore atletico potesse equivalere a quelli di presidente e giocatori, ma è proprio grazie a questa unità di intenti e mentalità forte, radicata politicamente,che il Corinthias vince ben tre Campionati Paulista tra il 1979 ed il 1983, anno in cui Socrates viene nominato miglior giocatore sudamericano, dopo anni particolarmente fallimentari.
Il calcio italiano, successivamente, avrebbe l'onore ed il privilegio di ospitare e godere delle giocate di un simil fenomeno, salvo Socrates non essere particolarmente incline alla tattica italiana, agli allenamenti ed i carichi di lavoro considerati eccessivamente pesanti e, quindi, deludendo le aspettative. Per un anno Socrates veste difatti la maglia viola della Fiorentina, venendo celebrato al suo arrivo coi soprannomi di "Dottore" (grazie alla laurea in Medicina, pur senza aver mai esercitato la professione) e di "Tacco di Dio": l'allora presidente viola, Ranieri Pontello, lo presente alla piazza di Firenze come "giocatore tra i primi 4/5 fuoriclasse mondiali", affermando di non aver speso una cifra spropositata per un giocatore del suo calibro. Socrates però, per i motivi precedentemente illustrati, delude le attese del popolo fiorentino e dell'intero panorama europeo, che ben più si sarebbe aspettato da quel ragazzo di due metri che calzava un misero 38 di piede e che ben aveva figurato in patria, dove aveva diffuso anche la propria mentalità.
Il proprio carisma lo fa tornare sui suoi passi, riapprodando in Brasile, dove gioca due stagioni al Flamengo ed una al Santos, squadra presso cui chiude definitivamente la propria carriera da calciatore, per poi affacciarsi con maggior interesse alla politica ed al mondo giornalistico, diventando commentatore sportivo. La sua vita sfrenata, dedita al fumo ed all'alcol continua, imperterrita, complicandone la salute: viene ricoverato più volte a causa di infezioni intestinali, che peggiorano con l'apparizione di una cirrosi epatica che lo porta per sempre via da un mondo che, negli anni '80, lo ha visto protagonista e lo ha amato per il suo carattere forte, ribelle, carismatico, eccentrico e ricco di idee.
Personaggio romantico, di cui abbiamo sentito e sentiremo ancora parlare, di cui avremo sempre nostalgia per quanto di positivo dimostrato dentro e fuori dal campo: in 16 anni di carriera mette a segno, infatti, ben 235 gol (numeri da capogiro per un non attaccante), sempre esultando col braccio alzato ed il pugno chiuso, la stessa esultanza a cui si ispirarono, il 4 Dicembre 2011, i giocatori del SUO Corinthias. L' amore ed il romanticismo verso quella squadra, inimitabile, aveva portato Socrates a dichiarare, prima di morire: "Voglio morire di domenica, la stessa domenica in cui il mio Corinthias vincerà il titolo". Detto, fatto. Al triplice fischio della gara, centinaia di migliaia di tifosi brasiliani si recarono immediatamente in pellegrinaggio verso la sua tomba, rendendo omaggio ad uno dei centrocampisti verde-oro più forti della storia mondiale. Certamente il più simbolico.
Segui 90min su Facebook, Instagram e Telegram per restare aggiornato sulle ultime news dal mondo della Serie