Il fantasma di Spalletti e un idillio mai scoccato: Garcia ha già perso il Napoli?
- Napoli-Fiorentina 1-3 ha riacceso le critiche nei confronti di Garcia
- Scintilla mai scoccata: mugugni e scetticismo fin dall'inizio
- Una citazione di Edo De Laurentiis dice tanto
Definire in senso assoluto un successo o un fallimento è proibitivo se, come criterio fondante, manca la possibilità di un paragone, quel "rispetto a..." che può fare tutta la differenza del mondo, elevando o affondando una situazione specifica. Un percorso fatto da 4 vittorie, 2 pareggi e 2 sconfitte - come quello del Napoli - non ha in sé un significato preciso se non si parte dall'immensa mole di aspettative portate da uno Scudetto, se non si considera un punto di partenza praticamente impossibile da equiparare che (incautamente) è stato posto come obiettivo minimo.
Si tratta di chiedere a chi ha appena superato uno storico record olimpico di ripetersi il giorno stesso, si tratta di pretendere da uno scalatore che continui ad arrampicarsi anche dopo aver raggiunto la cima, che arrivi dove altri non hanno saputo fare (e che lo faccia anche alla svelta). Serve dunque una dose di coraggio confinante col masochismo per farsene carico, per accettare quel bagaglio di aspettative con la consapevolezza - ad ogni passo - di sentire (neanche troppo bisbigliate) frasi di rimpianto, allusioni piene di nostalgia.
Un bagaglio pesante (nostaglia e pregiudizi)
Rudi Garcia, dal momento stesso in cui ha scelto di avventurarsi nell'esperienza al Napoli, ha fatto proprio tutto quel carico e ha assecondato implicitamente un atteggiamento - quello di De Laurentiis - diametralmente opposto al basso profilo, propositi di grandezza che vedevano nell'addio di Spalletti un incidente di percorso superabile senza troppi patemi d'animo (con tanto di allusioni alle ambizioni Champions).
Il suddetto carico di aspettative, del resto, si può associare anche all'auspicio poi disatteso in estate (quello di tifosi e addetti ai lavori) di trovare come post-Spalletti un nome di grido, un profilo che rappresentasse la solidità di un progetto, la credibilità sostanziale di quelle allusioni Champions fatte dal patron. Un Conte, un Nagelsmann o un Luis Enrique, entrando nel merito dei nomi (e degli annessi desideri di mercato che in estate iniziavano prematuramente ad affacciarsi).
Proprio per questo, al di là delle garanzie offerte da De Laurentiis dopo i suoi incontri e dopo il lungo casting, si può realizzare come l'impatto di Garcia con Napoli sia stato segnato a priori da un serpeggiante scetticismo: non si trattava di un giovane tecnico in rampa di lancio, neanche di un big assoluto reduce da vittorie internazionali e il francese aveva su di sé la "macchia" di un'esperienza in Saudi Pro League (ritenuta come periferia del calcio, ricca pensione più che realtà sportiva competitiva).
Una magia non si replica
L'incrocio tra le aspettative e lo scetticismo insomma, ancor prima della prova del campo, si traduceva in malumori che ribollivano, in borbottii e mugugni sussurrati ma costanti. Aggiungiamoci il peso di un fantasma ingombrante, quello di Spalletti, plasticamente reso anche dalla curiosa citazione di Edoardo De Laurentiis nel tunnel del Maradona, tra primo e secondo tempo di Napoli-Fiorentina: "Uomini forti, destini forti". Come a voler dire ai calciatori di ricordarsi chi sono, di ritrovare in sé quel che Spalletti ha saputo dare: si tratta - in sostanza - di citare il nome dell'amante mentre ci si trova con la moglie o di proiettarsi su qualcosa che fu, con malcelata nostalgia.
Si tratta, a conti fatti, di un'immagine che delegittima i messaggi e l'impronta di chi - in questo momento - è alla guida della squadra. I tanti casi esplosi nelle ultime settimane poi (e la costante idea di essere sotto esame) portano alla memoria idea di un "vecchio Napoli", di una polveriera, allontanandoci da quell'alchimia rappresentata dal 2022/23, da una squadra fatta di tanti leader ma senza elementi che si sentissero al di sopra degli altri. Un collettivo, insomma, capace di prendere consapevolezza dei propri mezzi proprio dopo l'addio di chi sembrava insostituibile.
Un equilibrio magico, per l'appunto, che come ogni elemento magico risulta precario in sé, rischia di svanire non appena lo si analizza, non appena si prova a replicarlo in condizioni differenti. Le sostituzioni "audaci" di Garcia dicono tanto ma, ancor di più, dicono le espressioni e i gesti plateali di chi quelle scelte le vive su di sé e le percepisce come affronto: non più ingranaggi di un meccanismo ben oliato ma individui che assecondano quelle spinte di ego che - lo scorso anno - Spalletti aveva saputo sedare (o tradurre in una forma visibile di "noi" che adesso pare dissolta).