Il gioco dei pronostici e delle pressioni: le ragioni della Juve e quelle dell'Inter
Non è troppo audace pensare che il racconto di qualcosa valga quanto l'oggetto stesso di quella narrazione o che, addirittura, arrivi a superarlo: i meri fatti e i dati esistono senz'altro ma, senza una cornice attorno, perdono di forza evocativa e - dunque - cercano continuamente sponda in questa o in quella versione. Il gioco tra "guardie e ladri" (citando Allegri) che vede protagoniste Inter e Juventus si svolge sì sul campo, a stretto contatto l'una dall'altra, ma trova terreno fertile anche davanti alle telecamere e vive insomma anche di luce mediatica.
Si tratta in questo caso, differentemente da altre situazioni passate, di un gioco fatto quasi per sottrazione: non dunque a suon di provocazioni e di proclami ambiziosi ma, al contrario, all'insegna di un profilo basso ormai radicato nelle modalità comunicative delle prime della classe. Qualcosa di simile al nascondino: da un lato ci sono i ritornelli di Max Allegri, pronto a ricordare come un orologio a cucù, senza tregua, che "l'obiettivo della Juventus dev'essere il quarto posto" (concetto ribadito almeno due o tre volte per ogni conferenza stampa), d'altro canto c'è un Beppe Marotta che - iscrivendosi al gioco - arriva addirittura a definire la Juventus come favorita, prendendo l'assenza di impegni di coppa come aspetto cruciale da considerare.
Spostare le pressioni: tra retorica e oggettività
Ognuno diventa il favorito dell'altro, insomma, e ognuno s'impegna per spostare costantemente dall'altra parte il peso della pressione, con esiti alterni e non sempre del tutto efficaci (spesso figli della semplice retorica). Tenendosi alla larga dalla retorica, appunto, appare tutto sommato evidente quanto il peso delle pressioni gravi sostanzialmente sull'Inter più che sulla Juventus, dotata insomma di un bonus di leggerezza aggiuntivo (pur in misura inferiore rispetto a quella professata ufficialmente).
I motivi sono facilmente individuabili e risiedono, in particolare, nel momento storico vissuto dai due club: da un lato un'Inter che arriva da una finale di Champions League e che cerca il titolo (come vera ossessione) per arrivare alla seconda stella ma, soprattutto, per porre un timbro sul ciclo di Simone Inzaghi, consacrandolo definitivamente. Dall'altra parte c'è una Juventus che, negli ultimi anni, vive una forma piuttosto evidente di ridimensionamento, alla larga da qualsiasi vezzo di mercato o dalle follie del passato: lo spazio che intercorre, in sostanza, tra Cristiano Ronaldo e la valorizzazione della NextGen.
Richiami di sostenibilità e di forme di austerity spesso aliene nelle faccende juventine ma, adesso, ineludibili. La "leggerezza" si traduce dunque in un'ossessione diversa da quella che segue l'Inter: non lo Scudetto, perlomeno non nella narrazione condotta verso l'esterno, ma la qualificazione alla Champions League come passaggio obbligato per tornare a pensare in grande, per tornare ad avere quei ricavi e a percorrere quei palcoscenici europei consueti nella storia bianconera. Una tappa di crescita, un punto di arrivo ma soprattutto di ripartenza.
Il peso dell'esperienza
Accanto al tema dello specifico momento storico vissuto dai due club, ma per certi versi ad esso correlato, c'è il discorso dell'esperienza delle due rose a confronto: l'età media dei calciatori schierati fin qui dall'Inter in campionato è la più elevata della Serie A, 28,7 anni, mentre la Juventus - nella stessa classifica - si colloca al dodicesimo posto (25,9 anni di media) e presenta dunque, evidentemente, un gruppo nutrito di giovani, di calciatori che devono ancora arrivare alla completa maturità calcistica.
I nerazzurri, dal canto loro, presentano un discreto numero di elementi esperti e, soprattutto, hanno un nucleo centrale di calciatori nel pieno della maturità calcistica (tra i 26 e i 30 anni di età): poco spazio per le scommesse o per le promesse da lanciare, insomma, agli ordini di Inzaghi. Diventa difficile, dunque, associare una Juventus inesperta ai favori del pronostico, anche al netto delle energie risparmiate senza impegni europei. Il discorso dell'Europa, peraltro, ha una propria valenza ma ci permette comunque di notare come l'Inter abbia una rosa strutturata e profonda, tale da adottare il fisiologico turnover necessario senza veder crollare la competitività (al di là di alcuni evidenti punti fermi).
Al contempo l'indole totalmente low profile coltivata da Allegri, col suo ormai classico pragmatismo lontano dai proclami, trova comunque uno scoglio non da poco in due fattori: da un lato un monte ingaggi (comunque il più alto in Serie A) assolutamente compatibile con l'idea di potersi giocare il titolo, d'altro canto gli investimenti economici sostenuti per i punti di forza della rosa costruita negli anni (come i 40 milioni per Chiesa e Bremer, ad esempio, o i 70 più 10 di bonus spesi per Vlahovic). Aspetti che non spostano in assoluto gli equilibri, col peso dei pronostici che incombe sempre sull'Inter, ma che rendono chiaramente un esercizio di retorica l'ossessiva ripetizione bianconera del "quarto posto come unico obiettivo".