Il gioco, il VAR, l'addio sfiorato e la curiosità su Zaniolo: Gasperini senza filtri

La lunga intervista del Corriere dello Sport al tecnico dell'Atalanta Gian Piero Gasperini.
Gian Piero Gasperini
Gian Piero Gasperini / Marco Luzzani/GettyImages
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Gian Piero Gasperini si è raccontato ai microfoni del Corriere dello Sport: il tecnico dell'Atalanta ha fatto un perfetto e originale "ritratto" del suo modus operandi, della sua personalità ed ha inoltre fatto un ritorno al passato narrando anche qualche particolare sulla sua "primissima Atalanta". Parole e considerazioni anche sulla nuova scuola italiana di allenatori, in qualche modo figlia del suo lavoro svolto a Zingonia coi bergamaschi. Non solo: particolare anche l'aneddoto sull'arrivo di Nicolò Zaniolo e anche la considerazione di un addio alla piazza nel corso della scorsa stagione. La classe arbitrale? Un po' antipatica al tecnico degli orobici, che ha inoltre specificato come alcune scelte nei confronti del club non siano state ancora del tutto comprese.

Sul resistere e sul non cambiare club: "È possibile. Resisto. Non mi muovo anche perché trovo ambienti talmente buoni da scoraggiare la partenza".

Sui direttori di gara: "Dopo tutto quello che ho dovuto mandare giù… Le cose però sono migliorate, mi sono vaccinato. Da un certo punto di vista anche loro hanno imparato a conoscermi, si rapportano in modo diverso. Qualche anno fa ci sono state troppe cose, comunque devo ammettere che il loro è diventato un mestiere impossibile, colpa del regolamento che troppo spesso non è chiaro".

Sul Var e sulle decisioni arbitrali "mirate": "Questo non lo so, ma sui contatti e i falli di mano non si capisce più nulla. Troppe interpretazioni dissimili e notevoli diversità tra il campo nazionale e quello internazionale. In serie A e nelle coppe si giocano due differenti sport. Prendi l’Europeo, il Var è intervenuto pochissime volte, mentre da noi arbitra spesso. Le decisioni del Var vanno disciplinate una volta per tutte. Aspetta, un’altra cosa che mi fa andare fuori di testa è la simulazione".

Sul simulare da parte di alcuni giocatori quali Chiesa e Immobile: "La simulazione eclatante, il giocatore che si tuffa senza essere stato nemmeno toccato mi fa incazzare di brutto. Questo è barare, il simulatore bara. Le mie non furono proteste contro la persona".

Sul "giocare sporco": "Se un giocatore induce l’avversario al fallo, si parla di abilità. Assai diverso se cade per un respiro. Lo trovo gravissimo. E se un arbitro di campo non sa valutare l’entità di un contatto è meglio che cambi mestiere. Il calcio senza contatto diventa brutto. Brutto come quello dei passaggi sistematici al portiere. L’Ifab dovrebbe fare qualcosa per evitare questa idiozia, una perversione. Ti rendi conto che oggi il giocatore che tocca più palloni con i piedi è il portiere? Il gioco speculativo lo trovo orribile. Il calcio non è all’indietro, ma portato in avanti, verso la porta avversaria. Ed è di contrasti. Il contrasto fatto bene è un gesto tecnico bellissimo. L’intervento in ritardo è altra cosa e va punito con severità".

Sulla fase difensiva e sull'essere il maestro nella marcatura a uomo: "Che cagata. La faccio semplice: difendere sull’uomo, anticiparlo e poi, nella fase offensiva, puntare l’avversario per creare superiorità. Ma ci sono tante declinazioni, aggiornamenti, correzioni

Sul flop italiano in Germania a Euro 2024: "La penso come tanti altri. È mancata la squadra, Spalletti non è riuscito a trasmettere certi princìpi, le ragioni può conoscerle soltanto lui. L’Italia era scarica, svuotata. La delusione principale è stata questa, perché le nostre nazionali si sono sempre distinte per solidità, senso del gruppo. Non abbiamo mai avuto i Pelé, i Maradona, i Cruijff, i Messi, però gli ottimi giocatori non sono mancati. I nostri Palloni d’oro si chiamano Rivera, Rossi, Baggio, nel 2006 l’hanno dato a un difensore, Cannavaro, in quella squadra c’erano Iaquinta, Camoranesi, Gilardino, Oddo, Grosso, Perrotta. Noi italiani siamo così, dopo una delusione butteremmo tutto a mare. Dovremmo invece ripartire dalla lezione subita. E dai vivai, certo. L’80 per cento dei giovani italiani gioca a calcio e se non riusciamo a farli crescere e a portarli in prima squadra è il sistema che è sbagliato".

Sugli allenamenti: "Noi facciamo spesso allenamento. Qui in ritiro sono arrivato a tre al giorno".

Su Zaniolo che ha scelto l'Atalanta: "È stato lui a scommettere su di noi. Mi piace come profilo. Vuoi sapere com’è andata?"

Il particolare aneddoto su Zaniolo: "Un giorno telefona Borriello e mi fa: “Mister, ho un giocatore che vuole venire da lei, uno forte, una bestia”. E io: Marco, chi è? “Zaniolo”. Bravo, mi piace. Ne ho parlato con D’Amico, poi con Percassi, questo ragazzo mi interessa, ed è arrivato".

Sulla Dea e sulle occasioni colte al volo: "L’Atalanta non può permettersi acquisti milionari. E allora coglie le opportunità. Scamacca e De Ketelaere cresciuti? Parzialmente (ride). Ma erano soltanto al primo anno".

Su una percentuale sulla rivendita dei giocatori: "Ehm... Alla fine del primo anno, quello del boom, furono ceduti Caldara, Kessie, Conti, Bastoni, Gagliardini. Avevo uno stipendio basso (altra risata), Percassi premiò il merito, integrò. Questa felice tradizione si perpetua ogni anno

Su Thiago Motta: "A Bologna ha fatto cose eccezionali, proponendo soluzioni nuove, in particolare nel disimpegno dal portiere".

Su Motta che è il suo miglior allievo: "Ma è arrivato dietro..."

Sul suo modo di lavorare: "Uno che copia. Io osservo, prendo appunti, poi magari non ripeto, ma sono attento a tutto e tutti".

Sul lasciare Bergamo: "Ci ho pensato, sì. Ci sono stati alcuni momenti della stagione in cui ho creduto che fosse arrivata l’ora di lasciare l’Atalanta. Ma volevo lasciarla bene, senza polemiche, senza una delusione. Abbiamo vinto e alla fine hanno prevalso Bergamo, la sua gente e tutto quello che si porta dietro. A Napoli ora c’è Conte, i tifosi non possono provare dispiacere".