Il 'nuovo libro' di Pep Guardiola e del Manchester City

Il ciclo del catalano a Manchester è davvero terminato?
Everton FC v Manchester City - Premier League
Everton FC v Manchester City - Premier League / Naomi Baker/GettyImages
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Sono 37 trofei in carriera, 16 con il Manchester City. Davanti a lui resta solo Sir Alex Ferguson, ma il catalano ha una media tremendamente più alta. Sull'altra sponda della stessa città si è accomodato nel 2016 ribaltando la storia di una squadra che prima del suo arrivo aveva festeggiato soltanto 18 trofei; ne ha raddoppiato il Palmarés in meno di 8 anni, alzando il valore dello stesso, arricchendolo di Premier League fino a piazzare i citizens a un passo dalla doppia cifra.

Da giugno non dovrebbero ormai sentirsi più i cori negli stadi inglesi che sbeffeggiavano un City incapace di trionfare in Europa, di salire quell'unico gradino rimasto per diventare a pieno titolo la squadra più forte del continente, e poi del mondo. Una squadra costruita con centinaia di milioni investiti (modus operandi che accomuna la maggior parte delle big), affidata alla gestione del migliore al mondo, capace di trasferire a Manchester una filosofia di cui godranno anche le future generazioni, un'idea da seguire con scelte delicate.

Parliamo come se fosse la fine di un ciclo perché a servire l'assist in questo caso è stato proprio il protagonista: Pep Guardiola, con parole forse inaspettate a questo punto della stagione nella conferenza stampa prepartita della sfida di Premier League contro l'Everton (vinta in rimonta dai citizens).

"Ora è tempo di andare in libreria a comprare un libro nuovo e ricominciare a scrivere "

Pep Guardiola in conferenza stampa
Pep Guardiola, Bernardo Silva
Everton FC v Manchester City - Premier League / Naomi Baker/GettyImages

Il primo è dunque concluso. 16 trofei, tutti i trofei. È terminato a fine dicembre e se vogliamo provare a seguire i suoi ragionamenti non si tratta di un capriccio di Guardiola, non avrebbe senso. Il tecnico catalano è probabilmente il più desiderato al mondo; potrebbe allenare qualunque squadra nel momento che preferisce. È la vecchia tradizione (che sarà presto abbandonata) di disputare il Mondiale per Club a dicembre, e dunque chiudere un ciclo con un'altra stagione in corso, a favorire il suo discorso.

Guardiola quel ciclo l'ha chiuso senza De Bruyne e Haaland, infortunati, con un City affaticato in Premier League, visibilmente meno brillante della passata stagione. Una stagione che al catalano e ai suoi giocatori ha donato ogni trofeo, ma che gli ha permesso anche di riflettere su tutte le bruciature del passato come opportunità di crescita, discorso che si inserisce nella sempre comune narrazione del dover necessariamente passare dalle delusioni per raggiungere il successo.

"La ragione per cui siamo qui, ho detto alla squadra, non è Istanbul o l'Inter. Non sono quelli i motivi per cui siamo qui. È il Monaco, è il Liverpool, è il Tottenham, è il Lione, è la Finale di Champions League persa contro il Chelsea, sono gli ultimi minuti contro il Real Madrid. Ci ha ferito in quel momento, ma ci ha aiutato a vincere contro l'Inter".

Manchester City v Chelsea FC - UEFA Champions League Final
Manchester City v Chelsea FC - UEFA Champions League Final / Visionhaus/GettyImages

E prosegue: "È un processo per un club che non aveva mai vissuto queste cose. Per il Real Madrid, il Bayern Monaco, il Barcellona, i big big clubs nelle competizioni europee sono abituati. Tutto questo era invece nuovo per noi, sentire che potevamo fercela, credere e vincere".

Sembrano riflessioni nostalgiche di un passato glorioso, di chi ha faticato e sopportato per raggiungere vette altissime, e ora quasi non ha tempo per godersi quel successo. La stagione inglese ed europea non concede pause, il City è stato applaudito in maniera sbrigativa e il focus è immediatamente tornato su una classifica da rimontare al più presto. Ciò a cui ha abituato Guardiola in questi 7 anni è una squadra ormai considerata incapace di perdere in patria e ora forse anche in Europa. Una squadra per la quale il termine crisi si scomoda dopo un paio di sconfitte.

L'ha fatto attraverso il processo, superando quegli step che forse aveva disegnato su un quaderno, o su un documento word appena messo piede nel centro sportivo dei citizens. "Non è solo un 'Porta Pep qui e vinci tutto immediatamente', è un processo di cambiamento. Alcune volte ci siamo andati vicini, altre eravamo più indietro, ma alla fine è un processo. Ecco perché siamo arrivati qui per finire otto anni di lavoro con un sacco di delusioni, ma fa parte della vita e dello sport. Questo ci ha fatto sentire 'Ok, andiamo a prenderci l'ultimo' e i ragazzi ci sono riusciti di nuovo".

Il primo libro è concluso, il secondo bisogna iniziare a scriverlo ora. A Guardiola spetterà soltanto la prefazione o inizierà un nuovo ciclo del catalano a Manchester?