Il peso dell'esempio, il ruolo attuale e un paragone Capello-Mourinho: parla Ibrahimovic
La tournée statunitense del Milan fa sì che Zlatan Ibrahimovic, ora nelle vesti di dirigente rossonero, possa ripercorrere la propria storia in MLS e possa raccontare - proprio ai media statunitensi - questa nuova tappa del proprio percorso, stavolta fuori dal campo. Ibrahimovic ha parlato a The Athletic soffermandosi sull'attuale ruolo in rossonero e su tanti momenti della propria storia calcistica. Queste le sue parole:
Sul proprio ruolo e sull'influenza sui giovani: "Sì, ma non sono un baby-sitter. I miei giocatori sono adulti e devono assumersi le responsabilità. Devono dare il 200% anche quando non ci sono. Ho voce in capitolo in molte categorie per portare risultati e aumentare il valore, il tutto con l'ambizione di vincere. Il mio ruolo è connettere tutto; essere un leader dall’alto e assicurarsi che la struttura e l’organizzazione funzionino. Per tenere tutti sull'attenti".
Esperienza in MLS: "Mi trasferii a Los Angeles per vedere se ero ancora vivo, e lo ero. E questo è diventato un problema. Avevo bisogno di tornare al luogo a cui appartenevo" riporta calciomercato.com.
Il ritorno al Milan: “Quando sono venuto la seconda volta, si trattava più di dare che di prendere. Volevo aprire la strada a una nuova generazione. Tu sei l’esempio, dicendo: 'Ascolta, è così che funziona'. Quando sei a Milano è l’élite dell’élite: pressioni, pretese, obblighi. Bisogna assumersi la responsabilità, diventare uomo, perché un giocatore non conta solo il campo, ma anche la persona fuori. Ero il punto di riferimento. Non avevo un ego al riguardo. Ero come una specie di...angelo custode”.
L'impatto sui calciatori più giovani: “Non avevo bisogno di segnare un gol in più o uno in meno. Non sarebbe cambiata la mia carriera. Si trattava più di preparare il futuro per gli altri perché credo che questa giovane generazione abbia bisogno di un leader da seguire. Se non hai esempi, soprattutto quando giochi in grandi club, chi ti indicherà la strada? L’ho fatto in un modo in cui non si trattava di me, ma della squadra. Tutti questi ragazzi giovani che non avevano mai giocato la Champions League e non avevano mai vinto. Quando invecchi, devi trovare i punti trigger. Non si tratta di contratti dopo 20 anni. Il mio punto di partenza è stato mostrare la strada per la squadra giovane”.
Il ruolo di Capello: "Chi mi ha fornito leadership? Alla Juventus avevo Fabio Capello. Mi ha distrutto, ma allo stesso tempo mi ha costruito. Come? Facile. Oggi sei stato uno schifo. Domani sarai il migliore. Quindi, quando pensi di essere il migliore, ti distrugge. Poi diventa confusione e non sai: "Ca**o, sono davvero il migliore o sono una m***a?" Quindi, quando eri giù, lui ti stava ricostruendo".
Su Mourinho: "Quando arrivai in Inghilterra avevo 35 anni. La gente diceva che ero troppo vecchio, che dovevo ritirarmi, blah blah blah. Ma questo mi innesca. Mourinho? Jose era una macchina. Lui tira fuori il meglio da te. Lui è quella persona: manipolatore. Sa come entrarti nella testa. Lui sa come trattarti, indipendentemente dal tuo livello. Mi ha ricordato Capello. Ma una versione più recente. Disciplina. Duro. Intenso. Non i tipi morbidi. Questo è quello che mi piace. Ricordi da dove vengo? La mia famiglia è dura".