Il ricordo di Rialti, da Prandelli a Spalletti: quante strade unite nel nome di Ciccio
"In quanti saranno secondo te?", era il 10 giugno del 2005 e mi trovavo nella pancia del Franchi. Mi pose quella domanda una voce che conoscevo bene e che avevo sentito tante volte in radio parlare delle cose viola, era la voce immediatamente riconoscibile di Alessandro Rialti. Al Franchi andava in scena la presentazione di Cesare Prandelli, qualcuno intuiva o forse sognava soltanto quel che poi si verificò: una Fiorentina capace di far innamorare di nuovo i tifosi, di rendersi protagonista in Europa e di regalare pagine importanti nella più recente storia viola.
Cesare e Sandro poi si sono annusati, si sono conosciuti, il loro rapporto è stato "conflittuale" ma lo stesso Rialti, a detta di Prandelli, ha saputo insegnare "cosa volesse dire amare la Fiorentina". Il conflitto e la pacificazione, lo scontro e l'ironia, il gusto per la polemica sana e mai pretestuosa o figlia di un qualche fine nascosto. Anche grazie al filtro di Rialti è maturato un amore importante come quello tra Firenze e Prandelli, un idillio tormentato nel suo finale, con indimenticabili alti e dolorosi bassi, arricchito da momenti umani ancor prima che sportivi.
E se Prandelli ha saputo intrecciare la propria storia con quella di Firenze è anche per merito di Ciccio Rialti, interprete di un messaggio vero di appartenenza in grado di accogliere, sì, pur senza perdere la propria identità: ma non si esaurisce tutto con Prandelli e lo si è visto in occasione del ricordo di Rialti presso Palazzo Vecchio. Lì è successo qualcosa di nuovamente grande: Pioli, Spalletti, Ranieri, Iachini e la dirigenza viola al gran completo, Antognoni in primis, per salutare Rialti e per condividere pezzi di vita attraversati insieme. Un traguardo ragguardevole della memoria può essere quello di unire strade altrimenti distanti: vedere gli abbracci tra viola di oggi e di ieri nel nome di Rialti ha detto tanto, il Salone dei Cinquecento ha raccontato così un nuovo atto di questa storia.
E quella domanda, nel giugno del 2005, posta come se si ponesse a un amico e non a un giovane tifoso in attesa del suo nuovo allenatore, mi consegnò già un'idea di quest'umanità irripetibile e genuina.
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