Il sarrismo, l'erede e la Juventus come 'errore': la versione di Sarri

Le parole di Sarri: i troppi impegni ravvicinati, il rimpianto Juve e De Zerbi come erede.
Sarri
Sarri / Ciancaphoto Studio/GettyImages
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La figura di Maurizio Sarri, non certo da oggi, viene associata a un'aura del tutto peculiare tanto che - a cavallo tra gli anni di Empoli e di Napoli - si parlava comunemente di Sarrismo per indicare la sua specifica impronta tattica e per rimarcare un certo stile personale (anche a livello comunicativo). Lo stesso Sarri, ai microfoni de La Repubblica, è tornato a soffermarsi su tale aspetto e non ha risparmiato riferimenti all'esperienza alla Juventus, col rimpianto di aver lasciato la Premier League per affrontare un'avventura che - nonostante lo Scudetto vinto - non sembra ricordare con particolare piacere. Queste le parole del tecnico della Lazio:

La Juve: “A Torino tutto era dovuto e dovevamo vincer solo la Champions, un messaggio inquinato. Ho vinto lo Scudetto con un gruppo a fine ciclo e una società che aveva voglia ma non la convinzione di cambiar stile. Ho sbagliato a venir via dal Chelsea. Un errore tornare in Italia”.

Calendario troppo fitto: Lo dico da cinque anni ma mi accusavano di cercare alibi e basta, adesso invece ne parlano tutti. Ormai ci si allena solo al video e lo spettacolo peggiora. Al massimo un giocatore dovrebbe giocar 50 partite all’anno. Si potrebbe almeno cominciare dalle piccole cose, tipo rinunciare alle tournée estive e riportare la Coppa Italia ad agosto anche per le grandi, facendole giocare sui campi delle squadre di Serie C, che così farebbero incassi per campare tutto l’anno. Ma di sicuro ci direbbero che c’è un problema di ordine pubblico per cui la Juve non può andare a Campobasso. La Coppa Italia è un evento clandestino cucito su misura per l’audience televisiva degli ultimi turni. Ma il calcio non è questo, è il Bayern che perde con una squadra di C". 

Chi può essere il suo erede: "Può essere De Zerbi".

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Il Sarrismo: "Se ci riferiamo agli anni di Napoli, io non posso e non devo fare quel calcio lì per forza, anche se la gente pretende da me sempre la stessa maniera di giocare. Avere dei palleggiatori non è come avere dei contropiedisti, mi devo adattare, la Lazio non potrà mai essere come il Napoli".

Futuro in Arabia? "Si può fumare, in Arabia? Sì? Allora vedremo. Comunque non è una cosa programmabile oggi. Se penso al futuro, mi piacerebbe essere l’allenatore della Lazio al Flaminio".