Il senso di un ritorno di Gabriel Batistuta alla Fiorentina come dirigente
Il richiamo dei ricordi e l'effetto nostalgia fanno parte in modo dirompente del panorama calcistico, si tratta del resto di forme anche logiche di reazione a un contesto vissuto (a ragione) come profondamente diverso da quello in cui tanti sono cresciuti, da quello in cui una buona fetta di tifosi ha imparato ad amare questo sport.
Esercitano poi un gran fascino quei ritorni che sanno in automatico di grandeur, che di per sé fanno suonare un campanello (anche a livello meramente emotivo) legato a una vera o presunta età dell'oro. Movimenti che hanno certo una loro logica, perlomeno emotiva, ma che spesso finiscono per scontrarsi col peso della realtà e con un necessario pragmatismo di fronte alle sfide di oggi e domani.
Come a casa
Le recenti parole di Gabriel Batistuta in merito al possibile ritorno alla Fiorentina, nelle vesti di dirigente, hanno reso nuovamente attuale la suggestione connessa al Re Leone e a un legame chiaramente indistruttibile con la piazza gigliata, sull'onda dei ricordi di ciò che è stato (considerando anche una serenità diversa dello stesso argentino nelle sue visite italiane, rispetto a quanto accadeva negli anni da calciatore).
"Lo sanno tutti, io vorrei fare una cosa ma bisogna vedere anche la volontà che c'è dall'altra parte, se vogliono o meno il mio contributo. Io non posso spingermi oltre il desiderio, ma sarebbe una bella cosa"
- Batistuta sul ritorno in viola
Il presupposto di base è quello oggettivo ed è quello poi citato dallo stesso Batistuta: Firenze vista come casa e, dunque, come luogo in cui tornare a prescindere da un ruolo effettivo all'interno del club. Un dato, questo, da non sottovalutare che ha comunque un proprio peso specifico fondamentale, senza la necessità di un ulteriore timbro.
Tra nostalgia e pragmatismo
Al contempo, tornando al richiamo nostalgico, diventa evidente la presa che l'auspicio di Batistuta può esercitare sulla piazza, una piazza come quella viola - del resto - vive spesso di suggestioni e pretende costantemente un accento speciale sulla questione identitaria. Non manca chi recrimina, dunque, per radici troppo sottili, per un'assenza di legame simbolico col passato, a maggior ragione dopo l'addio (per niente pacifico) di Antognoni alla società guidata da Rocco Commisso.
E proprio quel corto circuito lì, quello legato ad Antognoni e a un ruolo ridimensionato nel quadro societario, fa capire quali siano i rischi (prima ancora delle risorse) di un arrivo di Batistuta in viola in qualità di dirigente. Il tutto, peraltro, amplificato da un'esperienza ancora da costruire - a differenza di Antognoni - e dalla possibilità dunque di trovarsi in un ruolo profondamente scomodo, all'interno di un team già collaudato e ricco di risorse (con Barone, Pradè e Burdisso).
Il punto cruciale, valutando un possibile ingresso nei quadri dirigenziali, riguarda dunque il ruolo: non un indefinito discorso di carisma e identità, utile per scaldare i cuori a breve termine, ma l'individuazione di una posizione effettivamente sguarnita e realmente funzionale al futuro del club.
Il rischio, in caso contrario, è quello di vivere situazioni "ibride" e insoddisfacenti - il caso di Totti fa scuola in tal senso - coi conseguenti danni per entrambe le parti in causa e, soprattutto, col rischio di generare un deleterio effetto "proprietà vs dirigente" (rischio logico, con ex fuoriclasse di quella portata). Un complicato discorso di equilibri che reclama priorità rispetto al romanticismo di un'idea: ad oggi, in questo specifico momento del club, un ritorno potrebbe risultare prematuro o con una dose di rischi superiore rispetto alle note liete.