Il turnover è un 'vizio' solo italiano? Un confronto tra Serie A e Premier League
Quel che succede a un concetto nel momento della sua ripetizione ossessiva, spesso, è la sua diretta trasformazione in verità e in dogma: un pensiero che, con la sua insistenza, riesce a fare breccia e a prendersi un posto tra i dati di fatto. Il concetto di turnover necessario, pensando anche soltanto alle dichiarazioni settimanali dei tecnici di Serie A, è divenuto dunque verità ma non mancano in tal senso voci critiche o atteggiamenti non del tutto arresi: il noto telecronista Sky Massimo Marianella, esperto di Premier League, lo ha ricordato durante un recente Everton-Manchester City: sembra che la tassa del turnover sia un'esclusiva tutta italiana, una sorta di alibi o di pretesto dei nostri tecnici che - invece - non tocca il calcio d'oltremanica.
Il turnover in Premier League e in Serie A
Proviamo dunque a vedere, basandoci sulle formazioni impegnate in campionato come in Europa, se il riscontro dei numeri segue l'idea secondo cui la Premier sarebbe "immune" al turnover come imperativo, rispetto a una Serie A del tutto assuefatta al discorso. Possiamo notare innanzitutto come lo scenario cambi di squadra in squadra, anche considerando il livello della competizione europea affrontata: il caso del Liverpool in questo senso è piuttosto emblematico e ci racconta di un Klopp decisamente orientato ai cambiamenti, possiamo infatti notare ben 6 differenze tra i calciatori più utilizzati in Premier League e quelli invece più spesso schierati in Europa League (Elliott, Kelleher, Quansah, Endo, Gravenberch e Tsimikas al posto di Salah, Alisson, Szoboszlai, Van Dijk, Alexander-Arnold e Mac Allister).
Klopp-Howe: i due estremi
In sostanza il tecnico tedesco sta dosando i calciatori di maggior prestigio e di maggior livello, sfruttandoli al meglio in campionato e dando spazio alle seconde linee nel percorso europeo dei Reds. Una situazione vicina a quella del West Ham, restando sempre in Europa League: in questo caso sono 5 i calciatori differenti tra i più utilizzati in Premier e quelli più schierati in Europa, si sottolinea però al contempo la presenza di alcuni fedelissimi come Word-Prowse, Soucek e Bowen, più immuni di altri agli avvicendamenti (sono ben 6 i calciatori usati per più di 2000 minuti in stagione fin qui da Moyes).
Anche l'Aston Villa, nella sua esperienza in Conference League, cambia spesso interpreti: sono 4 le differenze tra i giocatori più usati in Premier e in Conference, sottolineando d'altro canto (come nel caso del West Ham) la presenza di insostituibili come Konsa, McGinn, Digne e Luiz. Dalla parte opposta della barricata, con un turnover assolutamente prudente, si mette in mostra il Newcastle: i calciatori più utilizzati da Howe sono infatti gli stessi tra Premier League e Champions League, senza alcuna differenza (curiosamente è una situazione identica a quella del Milan, che ha condiviso coi Magpies il girone di Champions).
Le altre big inglesi
Le altre inglesi impegnate in Europa si collocano dunque a metà strada, nel caso del Manchester City è Rico Lewis la principale differenza tra Premier e Champions: neanche in top 11 in campionato e calciatore più utilizzato invece a livello europeo. Per il resto Guardiola ha un nutrito gruppo di fedelissimi e non dà dunque vita a rivoluzioni tra le varie competizioni, come avviene nel caso di Klopp. Atteggiamento del tutto affine a quello di Arteta e dei sui Gunners: con Gabriel, Saliba, Rice, White e Odegaard come punti fermi in ogni competizione e con 5 calciatori capaci di superare quota 2000 minuti in stagione (dato identico a quello di Citizens).
Un aspetto che merita di essere sottolineato è quello relativo al gran numero di partite che le formazioni inglesi hanno affrontato fin qui rispetto alle italiane: una media di 29 partite stagionali a fronte delle 25 partite affrontate dalle big del nostro Paese. In questo senso la linea espressa da Marianella, quella di una maggiore "resistenza" dei calciatori in Inghilterra e di una minore tendenza alle rivoluzioni di formazione, trova parziale conferma, d'altro canto non è possibile farne un tema "ideologico" che separa le due realtà calcistiche. Occorre cioè dare più spazio ad altre due questioni a tutti gli effetti prioritarie: da un lato l'indole di ogni singolo tecnico e la sua tendenza a ruotare gli uomini, d'altro canto le circostanze e le forzature dovute agli infortuni.
La situazione in Serie A: Italiano vs Pioli
Spostandosi in Italia si possono citare gli esempi di Fiorentina e Milan come emblematici: da un lato Italiano non ha veri e propri senatori, calciatori insostituibili tra le varie competizioni, come dimostrano le 6 differenze tra i giocatori più schierati in Serie A e quelli più utilizzati in Conference. Elementi come Terracciano, Bonaventura, Arthur e Quarta - ad esempio - non figurano neanche tra gli 11 più usati in Europa, essendo invece fondamentali per le partite di campionato: una testimonianza di quanto Italiano tenda a cambiare le carte in tavola, senza riproporre mai la stessa formazione titolare e facendo dunque del turnover una sorta di religione.
All'estremo opposto troviamo il Milan di Pioli, non per un discorso ideologico o stabilito a monte dal tecnico ma più per un novero ridotto di scelte: tanti infortuni hanno fatto sì che i rossoneri avessero spesso le scelte obbligate, lo dimostra il fatto che i calciatori più utilizzati in campionato siano identici a quelli col maggiore minutaggio in Champions (come nel caso del Newcastle). Un dato in controtendenza coi 26 calciatori che hanno giocato per almeno 90 minuti in questa stagione con Pioli (numero più alto tra tutte le italiane): il tecnico ha dato spazio a tanti elementi (anche giovani) ma - parlando di effettiva continuità - si è affidato sempre ai soliti noti, senza particolari exploit da segnalare.
Il tema degli infortuni non ha lasciato immune Mourinho che, però, ha reagito in modo diverso rispetto a Pioli e ha adottato per quanto possibile una logica di turnover tra campionato ed Europa, dando spazio con continuità a Svilar, Celik, El Shaarawy e Aouar nelle sfide europee. In questo senso, al di là delle scelte del tecnico di turno, appare evidente anche il peso di avversari di diverso livello: un girone come quello rossonero, con PSG, Dortmund e Newcastle, rendeva ovviamente complesso osare di più, a livello di avvicendamenti, mentre la Roma (perlomeno sulla carta) poteva permettersi un turnover più sostanzioso.
Inzaghi scopre il turnover
In casa Inter notiamo come Inzaghi abbia iniziato a ruotare maggiormente gli uomini a disposizione rispetto al passato, utilizzando in Champions elementi come Carlos Augusto, Frattesi e Sanchez, elementi con un minutaggio inferiore in Serie A. Un atteggiamento, quello del tecnico nerazzurro, che si può legare senz'altro allo Scudetto come priorità assoluta e all'obiettivo seconda stella ribadito da più parti in casa Inter, anche al di là di quella che sarà la sorte in Champions. Restando appunto in Champions si sottolinea un Napoli piuttosto coerente tra Serie A ed Europa (con una sola differenza a livello di calciatori più utilizzati, Juan Jesus in logo di Raspadori) e una Lazio altrettanto lineare, col solo avvicendamento Vecino-Rovella pensando alla top 11 dei calciatori più utilizzati tra le due competizioni.
In conclusione si può notare come il diverso approccio al turnover non si leghi tanto al campionato in sé quanto all'approccio del singolo tecnico, alle circostanze (tra infortuni e squalifiche) e al diverso grado di difficoltà delle competizioni europee affrontate. Al contempo emerge (pensando ad esempio a Roma e Milan) il peso di rose non del tutto attrezzate per affrontare serenamente più competizioni, perlomeno di fronte a infortuni in serie e tutti concentrati in uno stesso reparto: un concetto che, evidentemente, rende anche il turnover un lusso non sempre percorribile, anche al di là dei principi di partenza di un tecnico.