Il Vicenza 1997/98 e la cavalcata europea in Coppa delle Coppe: un sogno finito a pochi passi dal mito
Chi ha detto che nel calcio non esistono le favole? O meglio, esistono favole anche senza il lieto fine: ed è senza dubbio il caso del Vicenza che, sul finire degli anni '90, ha sfiorato un trionfo in Coppa delle Coppe da matricola che avrebbe avuto del clamoroso.
Un trofeo durato 39 edizioni e riservato alle squadre vincitrici delle rispettive Coppe nazionali, che non c'è più dal 1999, quando fu la Lazio ad aggiudicarsi la finale di Birmingham contro il Maiorca. Bene, e cosa può avere a che fare una squadra di provincia con un trofeo europeo? Tutto, se parliamo del Vicenza. I biancorossi si resero protagonisti di una cavalcata straordinaria che tenne con il fiato sospeso anche i tifosi delle altre squadre italiane - compreso chi vi scrive, piuttosto restio a tifare le italiane in Europa che non abbiano un nome che inizia per R e finisce per oma -, ma finita proprio sul più bello. La storia di quella marcia europea, però, comincia un anno prima: con l'altrettanto incredibile vittoria della Coppa Italia 1996-97, primo e unico trofeo (ultimo vinto da una matricola) della storia veneta, grazie al successo 3-1 firmato Maini, Rossi e Iannuzzi (aggregato, si giocava ancora in doppio turno) nella finale col Napoli. Una Coppa che permise al Vicenza di affacciarsi in Europa, per quella che, sulla carta, sarebbe dovuta essere quasi una scampagnata.
La cavalcata europea
Brivio; Belotti, Coco, Dicara, Mendez; Ambrosetti, Di Carlo, Schenardi, Viviani; Di Napoli, Luiso. Allenatore Guidolin. Questa la squadra titolare che scese in campo al Romeo Menti, il 18 settembre 1997, per l'andata dei sedicesimi di finale della Coppa delle Coppe 1997/98 contro i polacchi del Legia Varsavia. Un secco 2-0 firmato da Pasquale Luiso (il "Toro di Sora") e Gabriele Ambrosetti. L'1-1 del ritorno permetterà ai veneti di agguantare un ottavo di finale che, già di per sé, è un risultato straordinario. Ma perchè fermarsi? Ora c'è lo Shakhtar Donetsk, che all'epoca non era di certo una temibile habituè delle coppe europee come è oggi. Doppia vittoria per il Vicenza: 3-1 in Ucraina, 2-1 in Italia. Si vola addirittura ai quarti di finale. Il gioco dovrebbe farsi più duro, ma per gli uomini di Guidolin è una passeggiata: eliminati gli olandesi del Roda con un netto 9-1 complessivo, figlio di una vittoria per 4-1 in trasferta e un secco 5-0 in casa. Signori, il Vicenza è in semifinale di Coppa delle Coppe. Al penultimo atto c'è il Chelsea dell'italiano Gianluca Vialli, quella squadra che sta per costruire la base dei futuri successi, sempre tinti di tricolore.
Guidolin intuisce il pericolo e schiera un folto centrocampo a cinque per contrastare i Blues e ce la farà. Il tabellino finale recita: Vicenza-Chelsea 1-0 (Zauli). Al ritorno a Stamford Bridge i biancorossi si presenteranno avanti nel risultato. Non è una garanzia di passaggio del turno, anzi, ma questo è. A Londra si comincia come meglio non si potrebbe: al 32' del primo tempo bomber Luiso porta avanti il Vicenza. Sembra fatta, ma Gustavo Poyet non la pensa così e pareggia i conti dopo 3': poco male, siamo ancora avanti. Sarà una ripresa di sofferenza, e così si rivelerà. La squadra di Guidolin prova a tenere botta e ci riesce fino al 51', quando Gianfranco Zola - tu quoque fratello italiano - realizza il 2-1. Finita? No, perchè al Chelsea serve un altro gol per andare in finale. E quel gol, purtroppo, arriverà al 76': Mark Hughes, questo il nome del giustiziere dei biancorossi. Mark Hughes che, a questo punto, potremmo ricordare come il cattivo di una favola che, di certo, i tifosi del Vicenza racconteranno di generazione in generazione.
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