Nocerino: "Si può arrivare in fondo perché la Nazionale è forte, ma dobbiamo fare un passo alla volta"
Esclusiva - Mister X. Fu questa la frettolosa etichetta che il calciomercato affibbiò ad Antonio Nocerino nel 2011. Erano le ultime ore di una sessione frenetica e il Milan Campione d'Italia scelse proprio Antonio, all'epoca al Palermo da 3 stagioni, per rinforzare il proprio centrocampo. Un'esplicita richiesta di Massimiliano Allegri. "Arrivai al Milan nel pomeriggio dell’ultimo giorno di mercato. Mia moglie era incinta, era al nono mese e avevamo appena traslocato in centro a Palermo per stare un pochino più tranquilli. Quindi chiamai mia moglie e le dissi, che saremmo dovuti andare a Milano e avremmo dovuto fare un altro trasloco. Pensai che non era facile né per me né per lei, anche perché io avevo in mente l’obiettivo dell’Europeo e andare al Milan significava avere una concorrenza altissima".
Il calciomercato però, troppo spesso concentrato su cognomi e cifre, finisce per dimenticare le storie dei protagonisti e quella di Nocerino era fatta di sogni, umiltà e voglia di migliorarsi ogni giorno. Sfida accettata e vinta sul campo a suon di gol, che nella stagione 2011-12 furono 11. "Sono andato lì e ho sfruttato le opportunità che mi sono state concesse, riuscendo a giocare con continuità e conquistare la Nazionale. Fu un anno molto bello e grazie al mio modo di essere riuscii a conquistare l'affetto della gente e la curva rossonera mi dedicò anche un coro da brividi".
Una stagione da incorniciare, in cui nacque un feeling speciale con Zlatan Ibrahimovic, ancora oggi protagonista con la maglia rossonera alla soglia dei 40 anni. Nessuna sorpresa però, perché quando pensi come Ibra, per Nocerino è normale essere sempre al top: "Ibra è un vincente, con una mentalità incredibile. Io distinguo anche i calciatori per categorie. Non faccio una distinzione tra quelli che vincono e quelli che perdono, perché non credo che chi non vinca sia meno bravo, ma distinguo la mentalità e la mentalità di questo tipo di giocatori li porta ad avere un rispetto per il proprio lavoro e per i propri obiettivi che va oltre ogni cosa. Si preparano ogni giorno con lo scopo di vincere e non si accontentano mai. Questa è la differenza tra i top e gli altri giocatori. Perché ci sono tanti bravissimi giocatori con qualità incredibili però sono la testa e la cultura del lavoro che ti portano a fare la differenza".
Numeri e prestazioni del genere, non passarono inosservati nemmeno a Cesare Prandelli, che lo inserì nella lista dei convocati per Euro 2012. Il sogno azzurro che si avvera in un'avventura piena di ricordi e momenti indimenticabili: "Quando tornavamo dai viaggi, indipendentemente da che ora fosse, ci facevamo spaghetti aglio olio e peperoncino tutti insieme. Tornavamo tardi e magari si mangiava subito dopo la partita, quindi durante il volo non mangiavi e quindi avevamo preso l’abitudine dello spaghettino. Spesso e volentieri il giorno dopo invece c’era una sorta di barbecue con le famiglie e anche lì eravamo tutti insieme. Creare un'atmosfera positiva in un torneo come l'Europeo aiuta tantissimo".
Due spezzoni di partita in cui Nocerino trovò comunque il modo di rendersi protagonista, soprattutto nel Quarto di finale contro l'Inghilterra, quando realizzò uno dei rigori che permisero agli Azzurri di raggiungere la semifinale: "Le emozioni sono tantissime, l’atmosfera, l’inno, mi annullarono un gol per fuorigioco. Johnson, il terzino che all’epoca giocava nel Liverpool mi fece un salvataggio su un inserimento che feci su una palla di Marchisio. Mi ricordo ogni minimo istante. Poi arrivammo ai rigori e nonostante avessi giocato poco, pensai che fosse un'opportunità per aiutare, quindi andai dal mister deciso dicendo che volevo calciare. Fu un'emozione incredibile perché stavo rappresentando un paese intero. In momenti come quelli meno pensi e meglio è, bisogna semplicemente concentrarsi su quello che si deve fare perché è una sfida tra te e il portiere e chi è più freddo e meno ansioso la vince. Noi sbagliammo per primi e mentalmente quando c’è un errore un po’ ti condiziona. Poi Andrea (Pirlo, ndr) ha fatto lo scavino e loro hanno sbagliato, quindi mi sono detto di andare tranquillo, anche perché già sapevo come dovevo tirare. Avevo l’abitudine di guardare sempre il portiere, perché il portiere fa sempre un movimento, un passo, sempre. Ho guardato Hart fino all’ultimo, avevo già scelto l'angolo in cui volevo tirare, quindi sono andato talmente convinto e non mi sono fatto condizionare nemmeno quando Hart si muoveva e faceva di tutto per disturbarmi. Dopo aver fatto gol infatti feci un urlo impressionante per sfogarmi. Fu una gioia immensa, perché rimaneva solo un rigore. Diamanti segnò e fu una festa incredibile. Dopo l’errore eravamo talmente convinti di tirare bene e il gesto di Pirlo ci ha trasmesso serenità. Però anche la parata di Gigi fu importantissima".
L'entusiasmo che circondava la Nazionale del 2012, sembra essere lo stesso che ha accompagnato gli Azzurri di Mancini allo Stadio Olimpico e ora vola verso Wembley, dove i tanti residenti italiani a Londra sono pronti ad accogliere la Nazionale, che sabato affronterà l'Austria negli Ottavi di finale: "Il gruppo di ora ruota un pochino di più rispetto a quanto facessimo noi. Mancini contro il Galles ha cambiato 8 giocatori ed è importantissimo, perché è un campionato breve in cui c’è bisogno di tutti. Questo può aiutare, perché speriamo tutti che i ragazzi possano arrivare fino in fondo e che ci possano arrivare belli freschi, in una condizione migliore di quella in cui arrivammo noi".
Mai lasciarsi confondere dall'eccesso di speranza però, perché nel calcio nulla è certo "Io ho imparato una cosa, che non bisogna mai dare niente per scontato, mai. Quindi si fa un passo alla volta, piano piano, come è giusto che sia, perché quando giochi per la Nazionale e giochi ad alti livelli non esistono partite semplici, perché sulla carta quando hai visto Francia - Ungheria hai pensato che magari il risultato fosse scontato e poi abbiamo visto tutti com’è andata. In questo sport, mai dare niente per scontato. Io sono contento di come stiamo giocando e di come questi ragazzi ci hanno portato ad essere rispettati di nuovo dopo la brutta figura che abbiamo fatto in passato è già un passo importante. Adesso è arrivato il momento di fare un passo alla volta, giocando con tranquillità perché siamo forti e gli altri hanno paura. Ogni partita in Europa con la maglia dell’Italia è dura, perché il livello è altissimo".
La mentalità e il desiderio di essere un professionista attento alla cura dei dettagli ogni momento, sono frutto dei valori appresi nell'esperienza alla Juventus, in cui Nocerino giocò nella stagione 2007/2008, quella del ritorno in Serie A dopo la retrocessione post Calciopoli: "La Juventus è una grande azienda in cui tutti si devono comportare in una determinata maniera e raggiungere l’obiettivo dando il massimo. Nella Juventus è tutto programmato, tutto perfetto. Anche al Milan si fa lo stesso però in maniera molto più familiare, la differenza è nello stile, io ho trovato delle differenze a livello umano perché al Milan c'è gente che lavora nel club da 40 anni. Sono due grandissime società con una mentalità impressionante e un ambiente incredibile che non ti fa mancare nulla, in cui tu devi solo pensare a giocare e fare bene il tuo lavoro e questo nella crescita aiuta. A me la Juve mi ha insegnato a essere un professionista. Perché quando sei lì, devi pensare a dare sempre il massimo, senza accontentarti mai e cercare di migliorare ogni giorno".
"Kakà è l'avversario che mi ha sorpreso di più. Lo incontrai nel 2007, l'anno in cui vinse il Pallone d'Oro. Andava a una velocità supersonica. Troppo forte"
- Antonio Nocerino
Il primo fuoriclasse a trasmettergli la mentalità giusta fu Pavel Nedved, che si allenava tutti i giorni con un solo obiettivo: la vittoria. "Legai molto con Nedved. È stato il primo dei tanti campioni con cui ho avuto la fortuna di giocare nel corso della mia carriera ad inculcarmi quel tipo di mentalità. Quando l’ho conosciuto io aveva 36 anni e andava a tremila all’ora, non si fermava mai e mi diceva che lui era così perché il suo unico obiettivo era la vittoria e che lui voleva dare il massimo perché voleva provare a vincere, sempre. Questo atteggiamento non solo ti porta a fare la differenza, ma ti porta ad avere continuità. Nedved con parole, fatti ed esempi mi ha stravolto la testa e mi ha fatto capire che per arrivare ad altissimi livelli devi essere costante e non puoi accontentarti mai. Questi insegnamenti me li sono ritrovati poi nel corso della mia carriera quindi posso dire che lavorare alla Juventus è stata una scuola importantissima".
Premier League, MLS e futuro
La curiosità, la voglia di conoscere e di confrontarsi con altre culture nel gennaio del 2014 lo spinsero, senza esitare, ad accettare la corte del West Ham. 6 mesi di Premier League intensi e ricchi di esperienze indimenticabili che ha detta sua gli hanno completamente aperto la mente: "Sono stato a Londra sei mesi, è stata un’esperienza che ho voluto fortemente perché per natura mi definisco un curioso. Mi piace conoscere, mi piace imparare, quindi quando si è presentata l’opportunità di andare al West Ham, visto che al Milan dopo il cambio di allenatore non trovavo spazio, ho accettato con entusiasmo e ho fatto sei mesi bellissimi. Mi è piaciuto tutto: la cultura, il calcio e la vita lì, perché è stata un’esperienza che mi ha permesso di imparare abitudini diverse e di conoscere persone diverse. È stata un’esperienza che mi ha permesso di uscire dalla mia comfort zone. Giocare ad Upton Park poi è stato bellissimo, una delle esperienze più belle che ho vissuto da calciatore. Quando entri in campo e parte l’inno con tutte le bolle che salgono è qualcosa di incredibile. Anche lì ho trovato un ambiente familiare e anche se sono stato pochi mesi mi sono trovato veramente bene. Se avessi avuto la possibilità di rimanere per più tempo o di ritornare lo avrei fatto senza dubbio. Stadi meravigliosi e un’esperienza unica. La Premier è il top e l'approccio che hanno nei confronti del calcio è molto diverso, sia nelle metodologie d'allenamento che nel modo in cui si vive il calcio: non ci sono ritiri e si mangia in una maniera totalmente diversa. Mentalmente sono molto più rilassati e vivono tutto con maggiore serenità e questa secondo me è la loro forza. In Inghilterra si va a mille all’ora per 90 minuti e poi c’è la vita, mentre noi siamo abituati a non staccare mai la spina. Questo mi ha aiutato a capire tante cose. In Italia siamo più abituati a cercare il pelo nell’uovo e molto spesso si dimentica che dietro il calciatore c’è sempre un uomo e che ognuno di noi ha una storia".
"La Premier è il top, si va a mille all'ora per 90 minuti e poi c'è la vita. In Italia molto spesso si dimentica che dietro il calciatore c'è sempre l'uomo e che ognuno di noi ha una storia"
- Antonio Nocerino
La bellezza delle sensazioni provate oltremanica, ha aumentato in Nocerino il desiderio di provare nuove sfide, così dopo le brevi parentesi a Torino, questa volta sponda granata, e Parma è arrivata l'occasione per fare il salto oltreoceano. Biglietto solo andata con destinazione Orlando, senza sapere che la Florida sarebbe diventata la sua nuova casa e la prima tappa della carriera di allenatore. "L'hanno scorso ho allenato l'Under 15 dell'Orlando City e ho fatto da assistente all'allenatore dell'Under 17" . L'Orlando City, l'MLS con Kakà e gli Stati Uniti, un mondo completamente nuovo e dalle potenzialità infinite: "Negli Stati Uniti c’è una percezione del calcio completamente differente, anche perché è il quarto o quinto sport a livello nazionale, per cui si vive in una maniera molto rilassata. Non c’è la ricerca ossessiva della vittoria, forse perché ci sono i playoff e non ci sono retrocessioni. Il potenziale a livello di progetti e strutture è impressionante. Quando parlo di progetti, più che alla disponibilità economica mi riferisco alle idee che ci sono e sono importanti. La nazionale attuale ha prospettive interessantissime perché la maggior parte dei calciatori gioca in Europa e se continuerà il proprio percorso di crescita arriverà ai Mondiali del 2026 con una squadra molto importante. Per fare un ulteriore passo avanti dovrebbero allargare le proprie vedute a livello di allenatori, specialmente in ambito giovanile. Qui, gli allenatori delle Academy non hanno giocato ad altissimi livelli, militando per lo più nei college. Se si aprissero di più al confronto e alla conoscenza di altre metodologie, andando a vedere come si lavora in altri paesi, riuscirebbero inevitabilmente ad alzare il livello medio di conoscenza degli allenatori e credo che ne beneficerebbe tutto il movimento, perché è trasmettere delle conoscenze solide ai ragazzi è molto importante".
Ed è proprio ai ragazzi che Antonio, il Mister X che ha conquistato San Siro vorrebbe trasmettere tutto il bagaglio di conoscenze apprese nel corso della sua carriera: "Io vado a vedere anche gli allenamenti di mio figlio, perché penso di poter imparare in qualsiasi situazione. Credo che quando si allena un giovane, in primis si debba pensare alla crescita del ragazzo, alzando il livello di ogni singolo giocatore per prepararlo ad andare in prima squadra. Questo è più importante di qualsiasi risultato. Un allenatore, specialmente quando allena in un settore giovanile, non dovrebbe mai commettere l’errore di anteporre la propria carriera alla crescita dei ragazzi, che è e rimane sempre l’obiettivo principale. Poi bisognerebbe far capire ai genitori che quando si inizia a giocare l'importante è divertirsi. Il calcio è uno sport povero che ha il potere di cambiare la vita delle persone, quindi nella maggior parte dei casi si commette l’errore di pensare che arrivare sia semplice e invece non è per niente facile. I ragazzi si devono divertire e non è giusto pensare sempre di avere Maradona in casa. Questo atteggiamento da parte dei genitori toglie passione e gioia e ruba i sogni dei ragazzi. Da genitore l’unica cosa che mi interessa quando i miei figli fanno sport è che siano felici, perché è l’unica cosa veramente importante. Adesso si pensa troppo al contorno, quando ho iniziato io giocare era l'unica cosa davvero importante".
"Torni?" gli chiedo prima di salutarlo. "Non lo so, anche se non mi precludo niente. Se trovo un’opportunità che mi permette di esprimermi, di crescere e imparare, ma anche dare tornerei, perché adesso sono un allenatore ed è quello che voglio fare. Sono valutazioni che vanno sempre fatte a 360 gradi. Se capiterà e ne varrà la pena, volentieri", mi risponde.
See you soon Antonio, e in bocca al lupo!