Schelotto a 90min: "La Premier è un altro mondo. Cassano mi passava la palla bendato"
Esclusiva - Nato in Argentina e adottato calcisticamente dall'Italia, Ezequiel El Galgo Schelotto esordisce in Serie A con la maglia del Cesena. Galgo, in spagnolo significa levriero, a sottolineare la velocità con cui Ezequiel si muove sulla fascia di appartenenza. Dopo le stagioni in Romagna e un breve prestito al Catania, l'argentino partito da Buenos Aires con il sogno di diventare calciatore si consacra con la maglia dell'Atalanta.
Dal nerazzurro di Bergamo a quello di Milano il passo è importante, forse il più grande della carriera. Con la maglia dell'Inter però, nonostante l'emozione indimenticabile di un gol nel derby, Schelotto non riesce a imporsi come vorrebbe e viene mandato in prestito diverse volte. In seguito al biennio con lo Sporting Lisbona, arriva la chiamata del Brighton che gli permette di esordire in Premier League.
Un percorso ricco di alti e bassi, tuttavia, nonostante i rimpianti, Schelotto afferma con fierezza di aver combattuto con le unghie e con i denti per ottenere tutto quello che ha conquistato.
In una chiacchierata con la nostra redazione argentina, il calciatore del Racing Club ha ripercorso le tappe più importanti della sua carriera.
Perché non hai mai giocato in Argentina?
"Mi sarebbe piaciuto, ma non me l'hanno mai permesso. Sarò sempre grato al Banfield perché mi ha cresciuto, però quando ero lì ho sempre avuto la sensazione che qualcuno all'interno del club non mi volesse far giocare in prima squadra. Quando avevo 15 giocavo con le riserve e altri club stranieri mi cercavano con insistenza. Nel 2008, dopo che la società aveva rifiutato diverse offerte dall'Atalanta, ho chiesto loro di farmi un contratto ma hanno detto di no. Decisi di aspettare 6 mesi e comunicai che non sarei più rimasto. Salii con mio padre su un aereo per l'Italia e lì mi presero subito. Così sono arrivato in Europa a 15 anni, senza che nessuno mi regalasse niente".
Che differenze noti tra l'Atalanta in cui hai giocato tu e quella attuale?
"Sono arrivato all'Atalanta quando era stata appena promossa in Serie A. Quell'anno avevamo una squadra molto forte, con argentini come Maxi Moralez e German Denis. Abbiamo iniziato il campionato con 6 punti di penalizzazione, a causa del calcioscommesse. Totalizzammo 58 punti in quella stagione e se non fosse stato per quella penalità, ci saremmo qualificati in Europa League. Lo stesso l'anno seguente. Il progetto di Antonio Percassi, il Presidente della Dea, è ben strutturato e comprende anche le giovanili; ecco perché hanno una cantera favolosa. I progetti vanno portati avanti e bisogna aspettare con pazienza. Ora hanno costruito uno stadio nuovo, si classificano in Champions tutti gli anni, però non credo che la squadra in cui ho giocato io abbia qualcosa da invidiarle".
Nella tua esperienza all'Inter hai segnato un gol al Milan. Come ci sei riuscito e cos'ha significato per te?
"Il mio approdo al club è stato rapido, perché è avvenuto durante il mercato invernale. L'allenatore era Stramaccioni e l'Inter aveva campioni del famoso triplete di Mourinho. A tre settimane dal mio arrivo, si giocava il Derby di Milano. Per la prima volta da quando me n'ero andato dall'Argentina venne a vedermi tutta la mia famiglia. Mi toccava entrare e nel secondo tempo il mister mi mise sulla destra. Dopo 30', entrai in area di rigore, Nagatomo crossò al centro e Mexes si scontrò con Palacio. Poi saltai e colpii di testa. Quando la palla è entrata mi sono venuti i brividi nel vedere San Siro così pieno di tifosi. Quando la partita è finita, mi cercò Massimo Moratti. Mi toccò la spalla e mi tenne abbracciato per tutto il tragitto nel tunnel. A un certo punto mi disse: "Vedi tutto questo Ezequiel? Sei entrato ufficialmente nella storia dell'Inter per tutta la vita".
Hai avuto la fortuna di dividere lo spogliatoio con Javier Zanetti. Quanto hai imparato da lui?
"Lui ha avuto una carriera che parla da sola. Ho avuto la fortuna di condividere lo spogliatoio con campioni straordinari come Milito, Zanetti, Cambiasso, Stankovic, Chivu, Cordoba, giocatori che hanno vinto tutto e per questo li ho osservati minuziosamente. Dopodiché mi toccò andare in altri club e dimostrare quello che avevo imparato. Un altro che mi incantava era Antonio Cassano che ho avuto come compagno all'Inter e al Parma. Era un pazzo, però era un pazzo gentile. Le cose che ha fatto in campo sono state impressionanti, era sempre due passi avanti rispetto a qualsiasi giocatore. Mi diceva che quando prendeva la palla poteva passarmela anche con gli occhi bendati. Ma ho imparato tanto anche dai miei avversari come Pirlo, Ibrahimovic, Ronaldinho, Cristiano Ronaldo, Benzema. Tutti giocatori immensi".
Tra le maglie che hai scambiato, qual è quella a cui tieni di più?
"Mi piace collezionare maglie, devo ammetterlo. Nella mia casa in Italia ho un museo dove conservo circa 300 divise. Nella stagione 2011/12, l'ultima partita della stagione era un Juventus-Atalanta ed era anche l'ultima apparizione di Del Piero con i bianconeri. Mi vergognavo a chiedergliela. Poi anche uno dei miei compagni voleva la sua maglia, così gli ho chiesto se poteva prenderne una anche per me, quindi l'ho avuta. Poi ne ho anche una autografata di Totti che ho regalato a mio padre".
Che differenze hai notato tra la Serie A e la Premier League?
"La Premier è il campionato più importante del mondo. Dal modo stesso di vivere lo sport all'organizzazione: lì è un altro mondo. In Italia il calcio è più lento, mentre in Inghilterra arrivi da un'area all'altra in due/tre tocchi. Possono giocare così perché hanno dei campi tenuti in condizioni perfette, dei palloni ottimi, stadi puliti, centri sportivi all'avanguardia e calciatori incredibili. Tutto ciò lo porta ad essere il miglior campionato del mondo. Nei 3 anni che ho passato al Brighton mi sono divertito molto".
Come si prepara una partita per affrontare una delle 'Big Six'?
"Anche se le squadre più piccole non possono fare gli investimenti delle grandi, riescono sempre a giocarsela alla pari sul campo. Infatti abbiamo avuto la meglio in partite contro Manchester United o Arsenal, nelle quali loro tiravano 15 volte in porta, ma noi vincevamo lo stesso 2-1; oppure eravamo noi a calciare 15 volte nello specchio, e poi perdevamo 1-0 con squadre modeste come il Norwich. Questo rende il campionato più competitivo. Poi ti capita di vedertela con giocatori del calibro di Aubameyang, David Silva quand'era al City, oppure Lukaku oggi al Chelsea: si vede che sono campioni che fanno la differenza e che effettivamente valgono più di 100 milioni di euro".
Hai giocato per l'Italia ma ti senti argentino. Cos'ha significato per te vederle vincere a Euro 2020 e in Copa America?
"Molto contento per entrambe le nazionali e per i Paesi che considero casa mia. A me sta più a cuore l'Argentina, perché lì ci sono cresciuto, ho gioito ad ogni gol, ho pianto guardando le partite dei Mondiali da casa. L'Italia è stata invece la Nazione che mi ha aperto le porte del calcio europeo e che mi ha dato l'opportunità di giocare due partite a livello giovanile".