Baggio: "Sogno di tornare a giocare, vorrei riscrivere la mia storia. Juve, Guardiola, Fiorentina: dico tutto"

Roberto Baggio
Roberto Baggio / Pier Marco Tacca/Getty Images
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Netflix lancia il nuovo film su Roberto Baggio "Divin Codino". E l'ex numero 10 ha rilasciato un'intervista al Corriere dello Sport, in uno speciale di 24 pagine dedicato a lui, parlando della sua carriera e non solo.

Se sogno ancora di essere un calciatore?

"Qualche volta, sì. Io sono un sognatore nato, l’Acquario è il sognatore per eccellenza. Sogno di tornare indietro per riscrivere la storia, poi mi sveglio tutto sudato".

Sempre costretto a lasciare?

"Mi inviti a una riflessione. C'è un aspetto che viene spesso trascurato e non parlo soltanto dei miei casi. Succede che ti ritrovi in mezzo a mari in burrasca e hai solo 20, 23, 26 anni. Pensi di aver capito delle cose e solo in seguito ti rendi conto che non avevi capito un cazzo".

L'addio a Firenze?

"Mamma mia, lascia stare. Sono passati troppo velocemente, gli anni. E non mi riferisco a quando giocavo, è volato il dopo. Ci sono già dentro da un pezzo, è una roba allucinante. Sembra che le giornate durino soltanto dodici ore. Brutto segno".

Il momento più felice della carriera?

"Non saprei. Forse la semifinale del Mondiale, in America. Il sogno che stava per realizzarsi, il momento che si avvicinava. Pasadena? Lascia stare quello. Vedevo materializzarsi il sogno che avevo rincorso da bambino. Poi mi sono svegliato. Mi è arrivato addosso un treno a trecento all’ora. Mamma mia, che tranvata".

Distacco al Pallone d'Oro?

"Ma no, ero felicissimo. Spesso quando ti ritrovi in mezzo a queste cose non hai neppure il tempo per fermarti a riflettere, non te le gusti".

Il film?

"Non era ancora finito quando l’ho visto. Io sono il peggior critico, è una roba troppo personale, faccio fatica a essere obiettivo. Mi ha emozionato, sì. Ma non faccio testo, è strana ‘sta cosa. Quando vedi qualcosa che ti riguarda così profondamente non è semplice giudicare. Quello che hai vissuto viene interpretato da un altro, strana sensazione".

Il calcio ti ha dato tutto quello che cercavi?

"Non lo so, non lo so. Se facessi due conti dovrei sentirmi strafelice perché ho giocato tanti anni contro il parere dei medici e contro la logica del tempo. Già questo è tanto. La cosa più bella è aver compiuto il percorso nonostante le mie strade sembrassero segnate. Il sogno della finale col Brasile avrei dovuto accantonarlo e invece ci sono arrivato. Sono soprattutto orgoglioso, perché so di aver dato tutto. E non ho rimpianti, a non avere mai rimpianti mi ha insegnato mio padre".

Francesco Rutelli, Aung San Suu Kyi, Walter Veltroni, Ignazio Marino, Roberto Baggio
Roberto Baggio / Elisabetta A. Villa/Getty Images

Situazioni difficili?

"Non è facile gestire certe situazioni quando si è giovani, sono prove complicatissime. Basta una stupidaggine, una parola fuori luogo, un comportamento sbagliato e finisci per essere giudicato. Quel gesto, quella frase ti si incollano addosso e te li porti dietro per tutta la vita. A volte mi metto nei panni di certi ragazzi obbligati a decidere del loro futuro: rischiano di commettere errori dai quali non si libereranno più. Noi parliamo di episodi di trenta, venti, dieci anni fa. Giudichiamo le reazioni di quel tempo. Situazioni professionali, economiche, rapporti con le persone nelle mani e nella testa di poco più che ventenni".

Gli amici nel calcio?

"Potrei non sentire un amico per dieci anni, ma se lo stimo e gli voglio bene quando lo rivedo è come se ci fossimo lasciati da poche ore. L’affetto e la stima per alcune persone non muoiono col passare degli anni, sono dei collanti incredibili. Per dirti, quando ho fatto cinquant’anni ho ricevuto i messaggi di Billy (Costacurta, ndr), Ciccio Marocchi, Dino Baggio, Massimo Carrera, i primi che mi vengono in mente, i Filippini. Ne dimentico una montagna".

Il rapporto con le squadre?

"Quando indossavo una maglia giocavo per la squadra e per i tifosi di quel momento. Io ho avuto la fortuna di star bene dappertutto, ho sempre avuto un ottimo rapporto con la gente".

Ti manca il campo?

"Mi manca il campo, mi piacerebbe giocare sul prato di casa con mio figlio, il problema è che ho paura di tirare una pallonata e di dover poi cercare le rotule nell’erba. Sono rotonde, magari si spostano e fanno 50 metri. Uno può svegliarsi la mattina con la cervicale perché la sera prima ha giocato a tombola?".

Saltavi gli allenamenti?

"No, io mi allenavo come i miei compagni. Soltanto a fine carriera, a Brescia, saltavo il lunedì e il martedì perché mi ritrovavo con le ginocchia gonfie come zampogne. Avevo imparato a gestirmi per riuscire ad arrivare vivo alla domenica successiva. A inizio carriera non avevo paura di nulla, se dovevo rompermi mi rompevo. Credo che la capacità di ascoltare il fisico mi abbia consentito di tirare avanti per altri anni. Quando hai male tutti i giorni non ti alleni sempre oppure vai a fare l’arbitro o ti piazzi in panchina e guardi gli altri giocare".

Calcio trasmesso a Guardiola?

"Ma figurati! Cazzo vuoi insegnare a Pep! E' nato con una dose incredibile di passione, era già allenatore quando giocavamo insieme, intelligentissimo, aveva e ha una marcia in più".


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