Italia fuori (di nuovo) dal Mondiale: c'è un sistema da cambiare?

La disperazione azzurra dopo la mancata qualificazione a Qatar 2022
La disperazione azzurra dopo la mancata qualificazione a Qatar 2022 / Claudio Villa/GettyImages
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L'Italia non andrà a Qatar 2022, un verdetto che nelle ultime ore ha letteralmente inondato la carta stampata ed il web. L'esclusione della Nazionale è l'unico effettivo dato di fatto di una serata, quella del Barbera di Palermo, che ha richiamato all'appello i grandi giudici del tricolore, pronti a piazzare qualsiasi cosa sul banco degli imputati pur di trovare una giustificazione in tempo zero all'assenza degli azzurri ai prossimi mondiali.

Sicuramente nessuno avrebbe lontanamente sognato di ritornare, a distanza di solo pochi anni dalla spiacevole serata svedese, a parlare di una nuova assenza alla competizione più importante di questo sport. Vada allora accettare e giustificare quel senso profondo di amarezza e rabbia emerso al triplice fischio della sfida contro la Macedonia del Nord, che ancora una volta con Trajkovski inguaia il cammino azzurro - una rete del macedone fu determinante anche nel 2017, quando la Macedonia dell'allora coppia italiana Nestorovski - Pandev spinse l'Italia ai playoff contro la Svezia. Tutto ciò non deve però distruggere quanto creato finora, rischiando di riazzerare i pochi progressi fatti proprio in seguito alla disfatta di marca Ventura.

Partiamo dallo scorso mese di luglio e no, non perché siamo saliti sul tetto d'Europa e quindi abbiamo la possibilità di trovare attenuanti ad un discorso ben lungo da sviluppare. Quanto fatto vedere dagli azzurri dalla partita inaugurale di Roma a quella conclusiva di Wembley non può essere etichettato come un "colpo di fortuna" o come l'allineamento dei corpi astrali. L'Italia ha risposto sul campo a chi negli anni precedenti attaccava la nazionale ed il calcio nostrano di mancare di talento, qualità e cattiveria per rappresentare la propria nazione. Una squadra guidata da esperti senatori (Bonucci, Chiellini, Verratti ad esempio) e condita con atleti in rampa di lancio e in attesa della consacrazione definitiva (Immobile, Donnarumma, Locatelli, Pessina, Chiesa e vari altri). Un mix di elementi guidato da un commissario tecnico in grado di amalgamarli grazie all'esperienza raccolta in Italia e fuori dallo Stivale, che nei momenti difficili ha saputo compattare il gruppo e superare gli ostacoli più difficili.

Tutto ciò non può essere bollato come il frutto di un percorso fortunato, ma deve essere riconosciuto come il prodotto della dedizione e dell'umiltà di un sistema che sapeva di non avere nulla in più degli altri per poter alzare la cresta. Questo è il primo aspetto ad essersi smarrito nell'ultimo periodo e che ha spinto la Nazionale prima ad essere superata dalla Svizzera e poi ad uscire direttamente dai Mondiali senza affrontare il Portogallo. Una saccenteria ed una superficialità senza precedenti negli ultimi anni, figlia anche di un allenatore bravo tatticamente ma che forse ha perso un po' le redini del gruppo.

È infatti inutile soffermarsi sulle sostituzioni di ieri sera tanto criticate dagli esperti e dai tifosi, le difficoltà di Roberto Mancini nascono nel gestire un insieme di giocatori troppo pieno di sé dopo la vittoria con l'Inghilterra. C'è quindi da sostituire il commissario tecnico per ripartire? Il dubbio ovviamente deve nascere, perché la gestione dello spogliatoio è il primo requisito per chi si occupa di una nazionale - avendo effettivamente poco tempo dalle convocazioni alla gara effettiva per dettare il proprio gioco. Ma parlare già ora di un sostituito è effettivamente precoce e potrebbe alla lunga diventare anche controproducente (nel caso in cui Mancini decida di non andare via). La Gazzetta Dello Sport oggi rilancia con il possibile duo Cannavaro - Lippi al posto del tecnico ex Inter, ma la verità dei fatti è che la panchina del ct è l'ultimo degli aspetti da considerare.

Se la questione allenatore può essere rinviata a data da destinarsi, diversa è la parentesi legata alla FIGC e agli organi istituzionali del calcio italiano.

Nel post gara di ieri sera, l'attuale presidente della FIGC Gabriele Gravina si è lanciato a pieno petto e senza timore contro i club italiani, accusandoli di dare sempre meno spazio ad atleti italiani - favorendo difatti un già presente sistema capitalistico nel mondo del pallone dove l'aspetto economico prevale sulla provenienza dei giocatori (ndr). La verità dei fatti è però un'altra, seppur non lontana da questa visione. Perché è vero che i club hanno una continua tendenza a puntare su atleti stranieri (sia al livello maggiore che attingendo ai settori giovanili), ma bisogna domandarsi anche il motivo per cui questo trend non abbia trovato un cambia di rotta negli ultimi anni.

La FIGC ha fatto abbastanza poco dal canto suo per cambiare le cose, mostrando che a parlare sono bravi tutti. Le evidenze mostrano però che nei settori giovanili, nonostante cambi di denominazione di categoria e quant'altro, nulla sia effettivamente mutato rispetto al passato. Il professionismo poi non migliora la posizione del sistema italiano, chiamato a far fronte ai risultati scadenti ottenuti dai due effettivi provvedimenti attuati: il minutaggio degli Under, imposto in Serie C e nelle categorie dilettantistiche, e le squadre B.

Partiamo dalle Squadre B, un progetto fallito in partenza. Fatta eccezione per la Juventus U23, nessuna grande società ha ritenuto opportuno iscrivere una seconda squadra tra i professionisti - ricordando ovviamente che tali club satelliti sottostanno agli stessi criteri ed esborsi economici destinati alle società di Serie C. L'idea così di far crescere i giovani atleti appena emersi dalla Primavera si brucia così in pochissimo tempo e lascia ancora interrogativi sui percorsi da destinare ai calciatori in erba per permettere loro di crescere al meglio e di lasciare il segno quando prima possibile.

Risultati migliori, ma non di tanto, sono arrivati dal discorso del minutaggio, che però non risolve nessun problema al momento - a livello giovanile e prettamente a livello italiano. Le società di Serie C, considerando anche le numerose crisi economiche affrontate ultimamente, hanno poco interesse nel lasciar crescere i giovani talenti per permettere loro di fare esperienza; l'obiettivo è semplicemente quello di racimolare i minuti necessari per ottenere dal sistema un ingente quantità di denaro, utile per sistemare i conti dei patron. Non si può dire, con tutta onestà, che sia tutto da scartare, vedasi Moro e Lucca ad esempio, ma il risultato non è altro che lo specchio di quanto accade prima.

L'attenzione ricade di conseguenza su quanto accade a livello giovanile, su quelle dinamiche conosciute da tutti e denunciate da pochi - o quantomeno da chi ha poca risonanza mediatica. Perché è impossibile credere che l'Italia non sia in grado di sfornare talenti come Spagna, Francia o Inghilterra, in un paese dove chi mastica calcio lo fa sin dai primi mesi di nascita. La maggior parte dei problemi sono noti: poca fantasia in allenamento, sistemi e strutture di apprendimento non adeguati, clientelismo e pazienza (poca) a rompere le ali di chi ha bisogno di emergere con i suoi tempi o di chi non riesce a prevalere sull'altro. Il sistema sembra avere la vista assente dinanzi a tali circostanze, mostrando così tutta l'ipocrisia di un Gravina pronto a scaricare la colpa sugli altri dopo il secondo mondiale mancato.


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