L'Italia fa l'Italia: soffre, prega, gode. Donnarumma spegne Morata, Jorginho eroico: siamo in finale
Wembley aspetta il suo "ritorno a casa", l'Inghilterra pretende una finale che sente già sua, ma dentro una tavola già apparecchiata per i sogni inglesi è maturato nel corso delle settimane l'entusiasmo azzurro, lo ha fatto nel segno di un gruppo coeso, di un gioco che in chiave italiana pare piombato dal cielo, di un progetto credibile e costruito nel tempo. La Spagna ha la forza dei diesel, ha carburato col tempo e lo ha fatto passando tra le intemperie, le critiche, le minacce, nel segno di un nuovo corso di un Luis Enrique coraggioso: la fiducia in Morata c'è la stavolta non si traduce sul campo, la Roja punta sul "falso nuove" e manda dentro il tridente leggero con Ferran Torres, Oyarzabal e Dani Olmo. Nel riscaldamento qualcosa che unisce, la musica della Carrà come omaggio e come ponte tra la cultura italiana e quella spagnola, il fischio d'inizio rompe le connessioni e dà via alla battaglia.
UNA QUESTIONE IDENTITARIA - La domanda è: l'Italia continuerà a "fare la Spagna" o dovrà rispolverare il retaggio del passato, fatto di palloni lanciati in avanti e di grinta? I primi minuti rispondono in modo confortante, l'Italia fa possesso e al contempo sembra seguire la foga del tifo azzurro a Wembley, mettendo paura agli iberici. Questione di minuti però e le identità si ricompongono, chiunque dubitasse della possibilità spagnola di fare quel possesso (vicino al 70% di media) contro una formazione più aggressiva rimane disilluso: Pedri indovina linee di passaggio mai banali, il tridente leggero gira bene e si perde solo al momento della conclusione, il possesso è rapido e avvolgente. E Donnarumma è costretto a superarsi su Dani Olmo, dopo un rimpallo da brivido nell'area azzurra. Più passano i minuti e più la strada appare in salita, si capisce che servirà sudare, che serve la sciabola e non il fioretto. L'Italia sceglie di fare l'Italia, i centrali cercano spesso il lancio lungo con esiti alterni, Emerson è il più pericoloso e colpisce anche una traversa: unica occasione azzurra del primo tempo.
ENTUASIASMO FRENATO - L'intervallo non ribalta il copione e non toglie precisione agli spagnoli, Oyarzabal è ispirato e Busquets (sempre un mix di furbizia ed esperienza) ci prova da fuori area, sfiorando un gran gol. Fare l'Italia significa soffrire, sì, ma anche affondare quando è il caso: ci prova Chiesa, largo a destra, ed è l'antipasto di quel che avverrà di lì a poco. Lo stesso Chiesa è micidiale in contropiede, si avvicina minaccioso ai centrali spagnoli, rientra e fa partire il destro: il pallone gira e si infila in porta, esplodono gli azzurri per l'1-0. Il finale si racconta da solo, aiutato anche dai cambi di Mancini: Toloi in campo è un segnale piuttosto esplicito, Berardi dal canto proprio è più pericoloso di Immobile ma, pur arrivando al tiro, non ci mette la necessaria cattiveria. Dall'altra parte arriva il momento di Morata, il più discusso, il più desideroso di segnare. E a dieci minuti dal termine si passa dal possibile 2-0, con Berardi, alla doccia fredda: Bonucci e Chiellini conoscono Morata e si rivelano troppo gentili verso il compagno in bianconero, lui non si fa pregare, fa finta di non conoscerli, scambia con Dani Olmo e firma l'1-1 a tu per tu con Donnarumma. Tutto da rifare. La Spagna prova a cavalcare l'onda del gol e si riporta subito in avanti, i minuti passano però e i supplementari da fantasma diventano realtà: è la terza volta consecutiva per la Roja.
GLI INFERI, POI IL SOGNO - Il primo supplementare non è apnea, è una discesa vera negli inferi della sofferenza sportiva, con una Spagna davvero a un passo dal raddoppio in due occasioni e con Donnarumma che ringrazia la provvidenza, vedendo il pallone rimbalzare impazzito per poi uscire, non si sa come. E se ora l'Italia fa l'Italia lo fa solo in un senso: quello della resistenza strenua, del voler vendere cara la pelle nel momento più difficile. Nel secondo supplementare entra Bernardeschi, spesso discusso, spesso oggetto di ironia: Chiesa non ce le fa più, cambio obbligato nonostante un primo tentativo. C'è qualche lampo in più in mezzo all'alta marea, per gli Azzurri, con Berardi che riesce ad andare al tiro e troverebbe anche il gol, giustamente annullato per fuorigioco. E nessuna sofferenza è davvero tale senza i rigori che alla fine, quindi, arrivano.
Il primo macigno è sui piedi di Locatelli. Unai Simon fa i suoi balletti, lo ipnotizza, para.
Non si sa cosa ipnotizzi Dani Olmo ma il pallone vola via, alto, alle stelle.
Belotti non si lascia frenare dai balletti, è freddo, rigore perfetto e gol.
Donnarumma indovina il lato ma Moreno segna, per un soffio.
Bonucci è freddo, una maschera, spiazza Unai Simon e siamo avanti.
Spiazzato anche Donnarumma, Thiago Alcantara, e siamo sul 2-2.
Bernardeschi è perfetto, palla che si infila all'incrocio.
Morata ci ha stesi nel finale, Donnarumma si vendica, vola e para.
Jorginho ha in mano il nostro destino e non lo butta via: è lui l'uomo copertina, l'eroe azzurro, il cecchino che ci porta in finale, ancora a Wembley, dopo una sofferenza totale col miglior finale possibile.