Italiane in Champions: cosa c'è che non va?
A ottobre, il calcio italiano si appontava ad affrontare la Champions League potendo contare su ben 4 rappresentanti: Juventus, Inter, Atalanta e Lazio. Sono poche le nazioni che possono vantarsi di poter portare così tante squadre nel massimo torneo europeo; solo Inghilterra, Spagna e Germania possono fare altrettanto. Le attese dei tifosi erano alte: la Juventus era chiamata a cercare la vittoria, visti gli scarsi risultati degli anni passati; l'Inter sembrava poter competere con gran parte delle squadre del tabellone; Lazio e Atalanta avrebbero potuto dar fastidio alle big grazie al loro modo di giocare.
Ad oggi però la situazione è diversa. Siamo solo a fine marzo e delle italiane in Champions non v'è più traccia. Juventus e Atalanta eliminate agli ottavi, Inter addirittura ai gironi come ultima in classifica; l'unica ancora in corsa è la Lazio, ma (non me ne vogliano i biancocelesti) il loro destino appare segnato. Vista la debacle delle italiane nell'Europa che conta (speriamo almeno nell'Europa League...), una domanda sorge spontanea: come mai le squadre nostrane non riescono a imporsi e ad andare avanti in Champions League? Abbiamo provato a dare alcune risposte a questo interrogativo.
Campagne acquisti povere
Il vero grande mismatch tra la Serie A e gli altri grandi campionati europei risiede essenzialmente nell'aspetto economico. Da noi è solo la Juventus a potersi concedere il lusso di spendere 70 milioni per un calciatore, mentre alle altre non resta altro che investire sulle briciole: prestiti, parametri zero, giocatori dai nomi altisonanti arrivati ormai a fine carriera, sono solo alcune delle strategie di mercato più diffuse in Serie A. Se pensiamo che in Inghilterra lo Sheffield United, oggi ultimo in classifica, si è potuto permettere una campagna acquisti da 62 milioni di sterline o al Leeds che ne hanno spesi addirittura 106 per essere dodicesimi, capiamo come girino cifre ben più alte intorno al calcio.
Big mai messe in difficoltà
Questo problema è diretta conseguenza del primo. Squadre che non investono e che mettono su rose senza progettualità non potranno mai infastidire l'Inter o la Juventus di turno. Ecco perché spesso il calcio italiano sembra poco allenante, perché le cosiddette piccole manco ci provano a emanciparsi da questa etichetta. L'unico caso è quello dell'Atalanta, una realtà che le altre società dovrebbero seguire in maniera pedissequa.
Arbitraggio troppo "protettivo"
Alzi la mano chi, guardando una partita di Serie A, si è infastidito quando l'arbitro ha fischiato un fallo generoso, cercato dal giocatore in possesso di palla che non sapeva cosa fare. Sembra quasi che nel nostro campionato basti mettere il corpo tra la palla e il difensore e lasciarsi cadere al primo tocco per avere un fallo. Probabilmente è questo il motivo per il quale i giocatori esperti fanno così bene in Italia: grazie alla loro astuzia, intuiscono quando sono in difficoltà e subito sono in grado di guadagnarsi un fallo e far respirare la squadra. In Europa si lascia correre più spesso.
Tatticismo
Quando una squadra piccola affronta una grande, ritiene che il miglior risultato sia la non-sconfitta, piuttosto che la vittoria. Non succede solo quando l'Inter affronta il Crotone, ma anche quando la Roma affronta la Juventus a Torino. La Serie A sembra funzionare come una giungla in cui gli animali più deboli cercano di non farsi mangiare da quelli poco più forti. Da noi non si percepisce la sfacciataggine, la voglia di vincere che caratterizza gli altri campionati. La Serie A è soppesata, analizzata e studiata a tavolino da strateghi del pallone. Per fare un salto di qualità ci sarebbe invece bisogno di più istinto, di irrazionalità, di un allenatore che mandi i suoi giocatori tutti in avanti (ovviamente in maniera razionale). Il nostro campionato deve sciogliersi, deve correre rischi se vuole diventare più competitivo e affascinante agli occhi dei tifosi stranieri.
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