K.P. Boateng: "Sono passati 7 anni dall'episodio di razzismo contro la Pro Patria e non è cambiato nulla"
In una toccante lettera intitolata "Ai miei fratelli e alle mie sorelle bianchi", pubblicata oggi da The Players' Tribune, Kevin Prince Boateng, ex giocatore di Milan, Sassuolo, Barcellona e Fiorentina ha parlato a cuore aperto della questione razzismo, raccontando tutti gli spregevoli episodi di cui suo malgrado è stato vittima sia durante l'infanzia trascorsa in Germania, sia in Italia quando era un giocatore del Milan. In occasione di una gara amichevole contro la Pro Patria infatti, decise di abbandonare il campo, perché giustamente stufo di sentire continui ululati razzisti da parte di alcune nullità travestite da esseri umani presenti sulle tribune.
Era il 3 gennaio 2013 e il Boa, così lo soprannominavano i tifosi rossoneri, ha ricordato così quel triste pomeriggio in cui purtroppo il calcio giocato passò in secondo piano: "Sette anni fa giocavo con il Milan e in una gara amichevole c'era un gruppo di tifosi che si divertiva a fare gli ululati razzisti ogni volta che entravo in possesso del pallone. Erano passati 26 minuti e dissi all'arbitro che se li avessi sentiti di nuovo avrei smesso di giocare. Lui mi disse di continuare, ma poco dopo mentre stavo provando a dribblare un avversario continuarono. Presi la palla, la scagliai verso le tribune e me ne andai. Arbitro e avversari mi dissero di continuare a giocare e a quel punto gli risposi male".
Momenti di sconforto che ricordarono a Boateng i tornei d'infanzia nella Germania Est, quando lui era solo un bambino e dalle tribune alcuni genitori promettevano di regalare banane per ogni gol segnato oppure di metterlo in una scatola e rispedirlo da dove era venuto. Per questo quel pomeriggio a Busto decise di dare un segnale forte, supportato da tutta la squadra e dalla maggior parte del pubblico presente sugli spalti: "Quando eravamo sotto al tunnel, Ambrosini mi chiese se fossi sicuro. Gli risposi che lo ero al 100%. Entrammo negli spogliatoi e mi tolsi tutto. Arrivò l'arbitro e chiese se volessimo continuare. Massimo allora si alzò in piedi e disse che se io non avessi voluto continuare a giocare, nessuno avrebbe giocato".
""La notizia fece il giro del mondo perché abbandonammo il campo tutti insieme""
"Nel giro di 24 la notizia aveva fatto il giro del mondo ed io ero diventato ambasciatore contro il razzismo. Se la notizia era arrivata, in Ghana, in Cina e in Brasile non era perché io avevo abbandonato il campo, ma perché lo avevamo fatto tutti insieme. Questo era il messaggio che ha cambiato il mondo almeno per un po'. La FIFA mi invitò e Blatter chiese cosa potessero fare. Dopodiché mi invitò a prendere parte ad una task force. Gli dissi di mettere dei microfoni negli stadi per individuare i colpevoli e sbatterli fuori. Se ci riesci sei un eroe, sennò almeno lo avrai tentato. Dopo email ed alcune idee nel 2016 mi hanno inviato una mail dicendo che la task force aveva compiuto la propria missione".
""Sono passati anni da quell'episodio e stiamo parlando della stessa identica cosa, non è cambiato niente""
Boateng prosegue criticando il comportamento del massimo organo calcistico mondiale: "Credo che abbiano creato la task force per far vedere che stessero facendo qualcosa in quel momento. Non so perché non stiano facendo di più, andrebbe chiesto a loro. Sicuramente il VAR e la goal line technology sono più importanti della lotta al razzismo. Sono passati sette anni e non è cambiato assolutamente nulla. L'unica cosa che è cambiata è che il fenomeno è peggiorato".
Le parole forti del giocatore oggi in forza al Besiktas fotografano alla perfezione una realtà triste e desolante. Dopo quell'episodio i calciatori della Nazionale scesero in campo con delle magliette speciali con su scritto "Espelli il razzismo dal calcio" e si minacciarono a gran voce sanzioni severissime per chi avesse violato le regole. Nel maggio 2015 i giudici della quinta sezione penale della Corte d'appello di Milano assolsero tutti gli imputati con la seguente motivazione: "Il fatto non sussiste". Per la legge italiana dunque l'episodio di Busto Arsizio, non fu un episodio di razzismo.
Nella parte finale della sua lettera, Prince invita tutti a prender parte a questa battaglia spiegando che: "Nonostante il movimento Black Lives Matter al momento abbia molto potere, non possiamo farcela da soli. I bianchi controllano il mondo e sono loro a poter distruggere questo sistema razzista".
Un appello che va oltre il calcio e coinvolge tutti gli esseri umani. Un appello che non può lasciare indifferente nessuno di noi e deve inevitabilmente invitarci a prendere parte attivamente nel piccolo della nostra quotidianità fatta di gesti che possono fare la differenza.
"Nessuno nasce odiando i propri simili a causa della razza della religione o della classe sociale alla quale appartengono. Gli uomini imparano ad odiare e se possono imparare ad odiare, possono anche imparare ad amare, perché l'amore per il cuore umano, è più naturale dell'odio". Nelson Mandela, nella sua autobiografia Long walk to freedom pubblicata nel 1994 indicava la strada da percorrere. È il 2020 e nessuno di noi può più permettersi di rimanere indifferente. Il calcio dia l'esempio e faccia, senza paura, il primo passo.
Articolo a cura di Alessandro Eremiti