L'eco della gloria lontana e un futuro da costruire: cosa chiede oggi la Fiorentina a Prandelli?

Prandelli nel 2006
Prandelli nel 2006 / New Press/Getty Images
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Due giorni di apnea, ore in attesa di un epilogo da tanti indicato come già scritto. Non era scritto e chi ha imparato a conoscere Rocco Commisso, in questa sua prima fase da patron della Fiorentina, sa quanto sia pesante e difficile, per quest'ultimo, tornare sui propri passi e sfiduciare un uomo da lui scelto un anno fa e confermato poi alla fine dello scorso campionato. Il corto circuito di queste prime sette giornate, appena sette, è stato di fatto una tempesta "perfetta": è successo, in sostanza, tutto ciò che non doveva succedere. Un distacco piuttosto lampante tra il mercato condotto dalla società e le esigenze di Iachini, dal punto di vista tattico, i risultati altalenanti e una classifica già deludente, un gioco spesso prevedibile e peraltro orfano di quella solidità difensiva che, nel campionato scorso, sembrava il marchio di fabbrica di Iachini. Perso quel timbro distintivo, insomma, è caduto tutto il castello.

Beppe Iachini
Beppe Iachini / Gabriele Maltinti/Getty Images

"Gli attuali risultati impongono un cambio di guida tecnica", si legge nel comunicato viola, ma vederla come una mera questione di punti fatti sarebbe parziale. L'impressione è che il respiro dell'"era Iachini" fosse legato a doppio filo alla salvezza da conquistare e che, oltre a quel burrone da scongiurare, servisse una guida differente: questa, forse, la spinta che ha sancito il ritorno di Cesare Prandelli dopo 10 anni dal suo addio, amaro e difficile, ai viola.

Cosa si chiede, a questo punto, a Prandelli? Pensare di traslare nel tempo la magia e la gloria del quinquennio 2005-2010, di trasportarlo in questo 2020, appare dominio del sogno e delle illusioni. Un mero spazio per il romanticismo che, di fronte a un'analisi anche superficiale, finisce per infrangersi. Nessun imperativo, tantomeno europeo, ma qualche bisogno: valorizzare talenti, individuare per ognuno uno spazio di esaltazione, riscoprire la voglia di essere propositivi. E poi c'è il modulo: il 3-5-2 sembra ormai diventato un nemico per tifosi e osservatori delle cose viola, in molti reclamano il ricorso al 4-3-3 o al 4-2-3-1 che (soprattutto nell'epoca d'oro del primo Prandelli a Firenze) rappresentavano un marchio di fabbrica della squadra. Gli interpreti non sono al livello di quelli di allora, basta spulciare quelle formazioni per accettarlo, ma hanno tutte le carte in regola per funzionare con quei due moduli.

Amrabat, Biraghi e Castrovilli
Amrabat, Biraghi e Castrovilli / Gabriele Maltinti/Getty Images

Ma non finisce qui: c'è voglia di guardare al futuro con fiducia, di insegnare calcio ai più giovani e di comunicare valori che Prandelli ha imparato a conoscere e far propri nei suoi anni fiorentini. Del resto Firenze è diventata anche la sua città, luogo degli affetti e di momenti di gioia e di dolore condivisi. E proprio da un momento di emozione, il ricordo del giornalista Alessandro Rialti, è scaturito un incontro tra Prandelli e l'attuale dirigenza: percorsi che tornano a intrecciarsi, epoche diverse che si confondono, con l'auspicio che - pur senza poter ricalcare quel passato che sembra remoto - esista qualcosa di grande anche in un futuro prossimo.


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