La Fiorentina e il nodo dello scouting: un confronto con le realtà più virtuose
In occasione di un pesante 0-2 interno patito dalla Fiorentina col Siviglia, in semifinale di Europa League 2014/15, l'allora tecnico viola Vincenzo Montella si attirò addosso antipatie e provocò qualche mugugno sottolineando quanto - di fatto - la piazza gigliata dovesse rendersi conto che, per la propria dimensione (questa la parola che ferì), arrivare a giocare sfide simili fosse già in sé un grande traguardo, qualcosa di cui andar fieri.
Il tema della "giusta dimensione" del club gigliato resta costantemente sullo sfondo e rimane più che mai delicato, pensando anche al rapporto tra i tifosi e le proprietà, sia coi Della Valle che col successivo passaggio alla gestione di Commisso. In sostanza appare palpabile il malumore di chi vive con insofferenza il bagno di realismo e pragmatismo che, nel corso degli anni, è emerso dalle parole dei dirigenti (e dei tecnici) che si sono avvicendati: come se, a conti fatti, si trattasse di un modo per mettere le mani avanti, per tenere basse le aspettative (con conseguente via libera all'autofinanziamento, all'assenza di investimenti corposi a livello tecnico).
Due esempi virtuosi
Il tema degli investimenti, con Commisso alla guida, si è spostato poi su un altro fronte: il patron gigliato, fin dal suo arrivo nel 2019, ha sottolineato quanto il discorso tecnico debba andare di pari passo al miglioramento sul fronte delle infrastrutture e del fatturato (aspetti che vedono i viola e il calcio italiano arrancare rispetto alle realtà più ricche d'Europa). Sullo sfondo, però, è presente un altro tema, spesso sottovalutato anche mediaticamente, che permette di confidare in una crescita sostenibile e duratura, come peraltro lo stesso mondo viola ha avuto modo di sperimentare in passato, senza per questo rinunciare al proprio status, senza macchie indelebili sull'orgoglio della piazza.
L'urgenza di uno scouting efficace e strettamente connesso alla prima squadra, non solo in senso futuribile, è una chiave di lettura su cui vale la pena soffermarsi, ragionando sulle difficoltà sperimentate dal club a livello di risultati. A fonte di una gestione finanziaria comunque virtuosa, rivendicata giustamente dalla proprietà, occorre un vitale bagno di umiltà e di pragmatismo che permetta di avere una visione d'insieme realistica: anche citare realtà come Sassuolo e Udinese, a questo punto, non deve rappresentare una scelta svilente per riflettere sulla crescita della realtà viola.
Come ottimizzare le risorse?
Si tratta di capire quanto la Fiorentina abbia speso per costruire la propria rosa e che tipo di profili siano arrivati, rispetto alle due società appena citate: investimenti pesanti, tra cui spicca il calciatore più pagato di sempre nella storia viola (Nico Gonzalez), rispetto alla capacità di scovare talenti in rampa di lancio, dando loro modo di fare le fortune di un club senza perciò svenarsi.
Una politica che con Pantaleo Corvino, al netto di qualche meteora e di qualche rischio di troppo, pagò indubbiamente e non occorre andare troppo indietro nel tempo per capirlo: Milenkovic e Vlahovic rappresentano del resto esempi più che mai chiari in tal senso, un patrimonio costruito in casa, andando a cogliere il talento prima degli altri, prima che comporti investimenti fin troppo audaci.
L'esercizio del paragone appare potenzialmente pretestuoso e intellettualmente poco onesto, considerate ambizioni e pressioni diverse tra una piazza e l'altra, ma diventa chiaro come una spesa superiore ai 50 milioni di euro per Ikoné, Cabral e Nico Gonzalez abbia un impatto diverso rispetto alle cifre spese dall'Udinese per i propri punti di forza: 7 milioni per Beto, 4 milioni per Udogie e Bijol, Lovric addirittura a titolo gratuito. Si parla di 15 milioni per giocatori il cui valore di mercato ha raggiunto evidentemente una dimensione diversa, a suon di prestazioni, a fronte di un patrimonio (quello dei giocatori viola più costosi) che non ha visto invece creare i presupposti per potenziali plusvalenze.
Al contempo, volendo tirare in ballo una realtà ancora più virtuosa come l'Atalanta, è evidente che il vivaio nerazzurro - spostando dunque il discorso dallo scouting al settore giovanile - abbia fornito alla prima squadra di Gasperini risorse più che mai valide già al presente (es. Scalvini e Okoli) ma anche in ottica futura (Carnesecchi), il tutto con un riuscito mix di elementi già pronti individuati nel momento giusto per non strapagarli e, appunto, giovani promesse a cui dare realmente fiducia, come veri e propri titolari.
Non si tratta dunque in assoluto di mettere a paragone la dimensione delle singole realtà calcistiche, di valutare insomma la loro storia e le loro ambizioni, ma di capire quanto diventi strategico (se non vitale) ottimizzare al meglio le risorse, ripercorrendo anche modalità già note nel capoluogo toscano e positive sia sul campo che per le casse del club. Un auspicio che, perlomeno sulla carta, dovrà trovare nel Viola Park una linfa vitale decisiva, a fianco di un miglioramento costante sul fronte degli osservatori e della capacità di intercettare il talento prima degli altri.