La Juventus di Vlahovic? No, quella di Prandelli e di Corvino
Un mercato invernale che sulla carta si preannunciava tiepido, a tinte tutt'altro che brillanti, sta offrendo nella sua fase finale il proverbiale terremoto in grado di spostare equilibri e rimescolare tanto di quanto è stato detto fin qui. Un terremoto chiamato Dusan Vlahovic.
Uno dei grandi tormentoni degli ultimi mesi, quello della ricerca di un centravanti da parte della Juventus e del vuoto lasciato da CR7 in seno ai bianconeri, sembra aver raggiunto il punto di non ritorno: dopo un girone d'andata tutt'altro che convincente, dalla metà campo in su, i bianconeri hanno scelto la strada del mercato per ovviare, vedendo nel ruolo di centravanti la chiave decisiva per avvicinare un posto in Champions e un inizio 2022 da protagonisti.
Si potrebbe sindacare sulla connessione tra produzione offensiva e presenza di un centravanti di peso, sulla necessità di una prima punta prolifica come panacea di tutti i mali, ma il valore tecnico e mediatico della mossa rimane fuori discussione e, quello sì, insindacabile. Da un lato ti metti in casa il capocannoniere del campionato in corso, protagonista di un 2021 da record, dall'altro mandi un segnale chiaro al calcio italiano e ti mostri tutt'altro che attendista.
La succursale involontaria
Il peso tecnico e finanziario della mossa bianconera, un investimento da dentro o fuori, spinge già a costruire l'idea della "Juve di Vlahovic", come se in sostanza l'arrivo del serbo fosse il timbro di garanzia sulle ambizioni, più del rinnovo di Dybala, più dell'attesa del rientro di Chiesa, persino di più della presenza di Allegri in panchina.
Si tratta di una valutazione fatta a priori, del resto parliamo di un giocatore tutt'ora di proprietà della Fiorentina, con trattative ancora in corso a livello di commissioni tra la Juve e Ristic, ma al di là della dovuta prudenza del caso resta da riconoscere altro: questa inizierebbe a somigliare sempre di più alla Juventus di Pantaleo Corvino e di Cesare Prandelli.
Si è detto tanto e si è fatta dell'ironia sulla Fiorentina come succursale bianconera, come incubatrice di talenti che poi compiono il grande salto e raggiungono la Juve, ma - pur con un ovvio scotto da pagare per i tifosi viola - rimane evidente da un lato il ruolo virtuoso del vivaio gigliato, a ben vedere uno dei più generosi e produttivi d'Italia, dall'altro il contributo decisivo di Prandelli nel favorire l'esplosione definitiva di Vlahovic (portato in Italia da Corvino nel febbraio del 2018, anticipando tutti).
Prandelli e Vlahovic: il mentore che serviva
Scherzi del destino e capricci inseriti nel solco di un'inimicizia storica, tracce comunque evidenti di due personaggi a cui, oggi, non si riconosce tutto il dovuto merito. Vlahovic in prima persona ha spesso avuto parole di grande stima, persino di devozione, nei confronti di Prandelli che - nel breve periodo del ritorno sulla panchina viola - scelse in modo netto e deciso di dare spazio a quel classe 2000 che, fin lì, era ancora coinvolto da un surreale ballottaggio perpetuo con Kouamé e Cutrone.
Al momento dell'arrivo di Prandelli sulla panchina viola, prima dell'ottava giornata, Vlahovic aveva collezionato un solo gol: il tecnico decise però di dargli fiducia e di renderlo fin da subito un titolare, accettando anche qualche partita di rodaggio e qualche iniziale passo falso, senza seguire la logica dell'alternanza a tutti i costi o del fiato sul collo.
A quel punto, sentita tutta la fiducia del caso, iniziò realmente l'incantesimo tutt'ora in corso: con Prandelli in panchina, a conti fatti, possiamo vedere come Vlahovic abbia collezionato 11 gol in 21 partite, diventando un punto fermo dei viola e aiutandoli nella ricerca della salvezza (non vedendo poi intaccato il proprio rendimento col ritorno di Iachini).
Ormai aveva spiccato il volo, era diventato evidente di cosa si stesse parlando: negare il contributo di Prandelli in questa escalation sarebbe miope, un contributo senza il quale, forse, non staremmo ora parlando di Vlahovic alla Juve come un colpo che sposta gli equilibri, come un acquisto da salutare con le bottiglie da stappare.
La mano di Pantaleo Corvino
E poi c'è Corvino, sia nelle vesti di chi ha portato Vlahovic in Serie A che in quelle di responsabile di un settore giovanile che ha visto crescere e maturare Federico Bernardeschi e Federico Chiesa. Corvino ha rivendicato spesso l'affare Vlahovic spiegando di averci creduto più di altri, di aver visto già presenti doti che altri osservatori non ritenevano sufficienti per spingere realmente sull'acceleratore, per crederci concretamente.
Per quanto riguarda Bernardeschi potremmo collocarlo come croce e delizia all'interno del percorso in viola, inizialmente sotto l'ala di Corvino: una delle famose "pianticelle", coltivata con la cura e l'attenzione che si riserva ai talenti più puri, che scelse però di non proseguire un percorso da bandiera viola, per ascoltare le sirene bianconere.
Sirene che incantarono anche Chiesa, giocatore a cui lo stesso Corvino fece firmare il primo contratto da giovanissimo, e che si ritrovò poi in Primavera al momento del ritorno in viola, nel 2016. Anche in questo caso, come nel binomio Prandelli-Vlahovic, è sotto gli occhi di tutti il lavoro fatto a suo tempo da Corvino per coltivare elementi che, poi, sono diventati parte del progetto bianconero. Questa Juve, per assurdo, è anche un po' sua.
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