Le 7 città di Sinisa Mihajlovic
Riallacciare i fili di un legame o di un intreccio emotivo, nel momento certo più duro e desideroso di silenzi, passa spesso dalla possibilità di tracciare un percorso, di individuare quasi geograficamente le tappe di una vita o di un'avventura sportiva. Lo scenario più consueto è quello di un singolo legame, di un luogo del cuore, quando poi si viene "da fuori" è già rimarchevole quando una singola città ti adotta, diventa tua, porta in sé un ricordo o un segno del passaggio.
Tra le questioni che esulano dall'ordinario, osservando il Sinisa Mihajlovic italiano e riferendoci alla forza del suo impatto sul nostro calcio, si può dunque scoprire come - nelle vesti di calciatore prima e di allenatore poi - non si possa tracciare una singola strada emotiva, come non si possa (con una parziale eccezione, di natura strettamente familiare) rivendicare come "proprio" un ricordo, vedendolo invece diramare in più direzioni.
Un cuore, tante strade
Ragionando per opposizioni possiamo riconoscere come Maradona appartenga e sia appartenuto saldamente a Napoli, come in una forma di dolore privato e non condivisibile. Napoletano insomma, ben prima che italiano. Nel caso di Mihajlovic Roma è la parziale eccezione, certo, lo è in quanto inizio e fine, lo è soprattutto come luogo del cuore e della famiglia. Un discorso chiaramente connesso a doppio filo con la biografia di un uomo, anche al di là dell'arrivo nella Roma giallorossa nel 1992, 30 anni fa, anche al di là della sua scomparsa.
L'incontro con Arianna e il porto sicuro rappresentato dalla famiglia, una scintilla partita appunto dalla Capitale - in un ristorante del Gianicolo, nel 1995 - che ha poi concesso al viaggio come cifra distintiva un ruolo necessario all'interno di un percorso professionale. E la stessa Arianna, ai tempi di Firenze, raccontò al Corriere Fiorentino l'inconsueta 'arte del trasloco' a cui ormai era piacevolmente abituata: "Il lavoro di Sinisa in questo mi aiuta. Genova, Roma, Milano, Bologna, ora Firenze. A parte Catania l’ho seguito sempre. Ogni volta un trasloco, divertente e necessario. La famiglia deve stare insieme. Non ho mai pensato di restare a Roma, con lui in giro per l’Italia".
Un giro che, con Roma come punto cardine, ha poi visto Mihajlovic vivere a lungo anche Genova, Milano e Bologna (città di cui è cittadino onorario), incontrando poi lungo la strada anche Catania, Firenze e Torino. Un percorso molteplice e variopinto, tra luoghi profondamente diversi tra loro, che racconta anche in modo efficace e dirompente la capacità di Mihajlovic di restare fedele a se stesso pur col mutare degli interlocutori, pur con caratteri e peculiarità chiaramente (culturalmente) differenti.
Nel bene e nel male
Non si tratta e non si è trattato dunque di vestire a turno i panni del cittadino di una data realtà, di gettare fumo negli occhi confidando di "aver sempre e segretamente coltivato il sogno di arrivare lì", tutt'altro. Non è certo un caso, per la profonda insofferenza all'ipocrisia, che alcuni incontri abbiano anche regalato spigoli, momenti di difficoltà e di gelo: la parentesi alla guida della Fiorentina è stata con tutta probabilità la più complessa e la più dura dal punto di vista del rapporto con la piazza.
Tutto era viziato da una forma di pregiudizio, da un senso di distacco extracalcistico mescolato alla voglia di vedere in panchina un "uomo forte" e dal pugno duro (idea che animava una parte della tifoseria). Mihajlovic stesso ha definito in due momenti separati la sua avventura fiorentina: la prima volta facendo riferimento a "uno stadio bellissimo in cui ti insultano", la seconda volta - la più recente - mostrando un piacevole stupore di fronte all'accoglienza di un Franchi finalmente affettuoso nei suoi confronti, nel marzo di quest'anno. Senza sapere che fosse l'ultima volta.
Raccogliere gli onori e la gloria è un gioco comodo, che tanti vorrebbero giocare, ma tra le righe di una mappa così frastagliata e multiforme sorprende ancora oggi capire come le città di Mihajlovic siano state anche quelle dello scontro, del conflitto, siano state anche quelle di una lotta perpetua come cifra personale di riferimento. Senza per questo intaccare un ricordo ma, anzi, contribuendo ancor di più a rendere trasversale e salda l'impronta di un uomo sul calcio di un Paese intero, fuori dalla retorica dell'eroismo, fuori dalle ipocrisie che riempiono i silenzi.