Le cose che Dybala non ha dato alla Juventus
Non poteva che finire così, con un annuncio dato a metà giornata fra un po' di nebbie e qualche silenzio imbarazzato. Paulo Dybala lascerà alla fine della stagione la Juventus andando a scadenza di contratto, e chiudendo una storia che nel 2015 era cominciata con (si sperava) ben altri auspici.
Se ne va dopo esser entrato nella top ten dei cannonieri di tutti i tempi in bianconero e con un cartellino che Transfermarkt indica del valore di 40 milioni.
Soprattutto, se ne va lasciando dietro di sé una sensazione di incompiutezza, di rimpianto, anche se vogliamo di irritazione per la frangia più inflessibile della tifoseria. Una specie di ultimo tango al contrario, dove la passione lascia spazio alla malinconia e la solitudine del numero 10 si fa più vivida e crepuscolare: è parte della storia di tutti i fantasisti, quella di non esser compresi fino in fondo. Non fa eccezione per il ragazzo nato a Laguna Larga.
L'AD della Juventus, Maurizio Arrivabene, commentando la scelta ha evocato come concause dell'epilogo valutazioni di tipo tecnico e tattico, oltreché economiche. È stato anche citato l'arrivo a gennaio di Vlahovic come vettore per la revisione di un progetto tecnico che nelle intenzioni di Massimiliano Allegri doveva avere l'argentino come perno fondamentale.
"La dirigenza della Juventus non prende decisioni contro la Juventus, la dirigenza della Juve prende delle decisioni per il bene della Juventus."
- Maurizio Arrivabene, AD della Juventus
Che cosa sia cambiato in questi sette mesi è difficile a dirsi. Al di là della partenza di Ronaldo (che era comunque stato messo in secondo piano dalle suddette dichiarazioni), della deficitaria posizione di classifica e dal conseguente correttivo in corsa da parte della società che ha anticipato l'arrivo del serbo dalla Fiorentina, sembra che il peso della bocciatura di Dybala sia tutto da imputarsi alla sua tenuta fisica: un aspetto da considerare visto che lo stesso dirigente juventino ha ammesso l'esistenza di un accordo preso a dicembre e che la società ha scelto di non portare a chiusura.
Sembra strano che sia stato solo questo il motivo di una rottura comunque clamorosa: un fedelissimo di Massimiliano Allegri come Mattia De Sciglio, ad esempio, sembra in predicato di firmare un rinnovo triennale pur avendo raccolto un minutaggio più basso e saltato per infortunio tre partite in meno del 10 argentino.
L'idea che ci si fa osservando da fuori il tutto è che la Juventus abbia scelto più per una precisa valutazione tecnica che ha portato Dybala a venir considerato sacrificabile. Arrivabene parla di centralità persa nel progetto tecnico, che però ha visto l'argentino diventare indispensabile durante l'anno nei fatti: che progetto allora si sta palesando nel futuro dei bianconeri? E cosa è cambiato? Perché da quel che si è potuto osservare, la Juventus sembra ancora lontana da avere un'impronta distintiva nella sua identità di gioco: Vlahovic ha garantito qualche gol in più, che non sono riusciti però a mascherare la scarsa crescita in termini di organizzazione e fluidità di gioco, con un collettivo che ha fino ad oggi mostrato lacune importanti nella manovra e nelle soluzioni tattiche.
In ogni caso, tralasciando le domande su cosa stia costruendo Allegri, l'immagine di Dybala è al di là di questa stagione quella di un elemento progressivo esternalizzato, resosi avulso alla sua società in un quadriennio almeno fatto di avvitamenti, con parte della tifoseria che progressivamente gli hanno sempre più rimproveravano l'incapacità di esser decisivo e l'assenza nelle partite che contano a causa di un'eccessiva fragilità muscolare.
L'arrivo ad oggi, con il lungo tira e molla anche poco calzante con l'identikit societario, non è che una delle occasioni in cui la Juve è sembrata quasi scocciata dalla presenza del suo 10. Un giocatore che pur risultando MVP della stagione 2019/2020 ha vissuto gli ultimi due anni sostanzialmente in discussione, non riuscendo a dare un senso alla sua carriera in bianconero.
Per motivare questo senso di incompatibilità con una parte dell'universo bianconero bisogna scavare fino al 2017, e precisamente alla serata di Cardiff, dove Dybala è spettatore non pagante della finale di Champions League contro il Real Madrid.
In tanti pensano che quella sera la storia recente della Juventus sia cambiata: non solo per la sconfitta e la scelta di rinnovare il rapporto con Allegri, ma anche perché quella notte è stata LA serata dove Dybala è mancato.
Dopo il quarto di finale contro il Barcellona, l'hype sull'argentino era tale che quella finale avrebbe potuto determinarne uno spartiacque decisivo, probabilmente indirizzandolo al Pallone d'Oro in caso di vittoria della Juventus. La sconfitta, maturata anche per una sua prestazione largamente insufficiente, ne ha minato la credibilità fra i grandi del decennio facendolo apparire come incompleto strutturalmente, incapace di percorrere l'ultimo miglio verso l'immortalità.
Da quel momento, ogni suo gesto, foss'anche bellissimo e decisivo, era bollato come figlio di un peccato più grande e imperdonabile.
Dybala poteva segnare contro il Tottenham e far passare il turno di Champions League, regalare lo scudetto ribaltando una partita stregata contro la Lazio nel 2018, risultare il leale e giusto completamento di Higuain o di Ronaldo: da quel momento è stato comunque "il non decisivo", l'uomo che si notava più quando mancava che quando presenziava (e magari regalava qualche perla).
Si può dire che Dybala avrebbe voluto regalare alla Juventus le certezze che la Juventus non riusciva a trovare, ma non ci sia riuscito. Il peso della maglia numero 10 non sembrava condizionarlo, ma certamente lo poneva di fronte a una sfida che, forse, chi gli aveva affidato quel numero mitologico non desiderava fino in fondo fargli combattere.
Quando lo scambio con Lukaku fallisce per una sua precisa scelta di cuore, la reazione è quasi stizzita. Siamo in una fase in cui la tifoseria è già polarizzata fra allegriani e sarriani, fra "cortomusisti" e innovatori, fra chi cerca qualcosa di nuovo e chi invece tende a chiudersi in ciò che conosce. Dybala rimane schiacciato in questa lunga (e non ancora conclusa) guerra civile fra tifosi, simbolo di un calcio che non tutti vogliono veder avvicinato alla Vecchia Signora.
Il suo tentativo di unire viene bistrattato con sdegno, quasi non si stesse parlando di uno che ha messo assieme più di 100 gol in sette stagioni, ma come di un impostore, un finto campione arrivato più per caso che non per desiderio, un paria che non merita considerazione.
Si sprecano i paragoni, si richiama alla tradizione dei numeri 10, dimenticandosi che dopo Tevez quel numero che era stato ereditato nell'ultimo decennio dal monumentale Del Piero era arrivato per una scelta puramente commerciale sulle spalle di Pogba, che se ne disferà nel giro di un anno quando saluterà tutti e tornerà allo United. Ecco: Dybala sembra esser stato più un feticcio plastificato di un sognatore che sperava di render la Juventus simile ai top club spagnoli, cosa imperdonabile per una tifoseria saziata per anni dalla real politik allegriana, e che riceve un numero 10 che ha perso qualsiasi tipo di carattere mitizzante.
Ora che tutto è finito, che finalmente Dybala andrà via, resta solo la soddisfazione di non doverne subire più le debolezze (il festino con Arthur e McKennie, l'occhiata verso la tribuna quando il contratto veniva stracciato), episodi considerati più gravi ad esempio della fuga a Milano di Bonucci con annessa fascia di capitano, oggi senatore dell'attuale spogliatoio e considerato campione della juventinità. Ma si sa che se si alzano le aspettative, ogni mancanza risulta un macigno: e le cose che Dybala non ha dato alla Juventus sono state troppe per meritare una conferma ulteriore.
Se saranno cose irrinunciabili tanto da motivare un addio, lo scopriremo grazie al campo. Speriamo che sia così, soprattutto per la società bianconera che altrimenti si troverà a fare i conti con un rimpianto molto grande.
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