Le persone non gradite e un precedente pericoloso: cosa lascia il "caso Matteini"?
Le città possono avere un talento, possono vantare una peculiarità come fossero persone? Apparentemente sì, nel caso di Firenze almeno, e il talento è quello di infilarsi nei meandri del grottesco, in situazioni talvolta anacronistiche o comunque paradossali che finiscono per buttare quel seme di verve polemica anche in situazioni che sulle prime sembrerebbero innocue (se non festose, addirittura).
Il punto della questione oggi è delicato e pone di fronte a temi diversi che, finché si rivelavano sfumati o confinati alla dialettica (per quanto colorita), potevano portare a conclusioni altrettanto ambigue, che lasciavano spazio per più campane (tutte degne di essere ascoltate). Al Viola Park, in occasione della prima apertura al pubblico dello stadio Curva Fiesole per Fiorentina-Milan Primavera, si è invece consumato qualcosa che - potenzialmente - è in grado di spostare altrove il punto della questione, una situazione che ci permette appunto di scivolare nel grottesco di cui sopra, di creare un precedente minaccioso, di esacerbare animi già tutt'altro che sereni tra società e stampa locale.
La situazione di partenza, secondo la versione ribadita oggi dal Corriere Fiorentino e in assenza di un versione fornita direttamente dalla Fiorentina, era quella dell'accesso di un giornalista (non con accredito ma con regolare biglietto d'ingresso) al Viola Park per assistere alla partita e all'apertura dell'impianto al popolo viola. Una situazione che avrebbe poi condotto alla ferma presa di posizione da parte di Joe Barone, DG viola, rispetto al giornalista - Francesco Matteini - col rifiuto di farlo entrare all'evento: secondo il diretto interessato un'addetta lo avrebbe accompagnato alla porta, impedendogli dunque di accedere.
Un biglietto è un biglietto
Ancor più surreale e significativo, però, un altro passaggio del racconto fatto da Matteini nella giornata di domenica, il passaggio connesso ai 50 euro che Barone gli avrebbe infilato in tasca per "rimborsargli" il mancato accesso all'evento, dopo aver giustificato il respingimento spiegando: "Lei non è gradito e non può entrare. Questo è un posto privato e entra solo chi vogliamo noi" (parole attribuite da Matteini a Barone). La situazione che sposta la definizione delle cose è appunto questa: non un mancato accredito, non un mancato invito a un evento organizzato dalla società, ma l'acquisto di un biglietto per un evento ritenuto poi successivamente non valido, in assenza di problematiche connesse all'ordine pubblico o a sentenze emesse nei confronti dello stesso giornalista.
Una deriva che rende irrilevante ogni valutazione di merito relativo all'operato della stampa, anche della più piccata e provocatoria nei confronti della proprietà: un invito, una situazione informale o persino un accredito parlano lingue diverse (e meno codificate) rispetto alle vendita di un biglietto per un evento. La natura privata del luogo non crea in sé la possibilità di vagliare le possibilità di accesso o meno di chi ha acquistato regolarmente un biglietto. Se così fosse, del resto, ogni rappresentante di una società potrebbe piazzarsi fuori dai tornelli, potrebbe chiedere al giornalista o tifoso di turno nome, cognome e dati personali, potrebbe sincerarsi che quel professionista o quel tifoso sia (o meno) amico della proprietà, potrebbe individuare di volta in volta criteri validi per essere graditi o meno.
Dalle schermaglie al precedente pericoloso
Esistono, a monte, due aspetti che rendono ancor più complesso districarsi nella vicenda e nella sua lettura: da un lato è nota la diversa percezione delle proprietà statunitensi (o comunque legate al mondo USA), rispetto alla comunicazione attorno al club, una certa insofferenza legate all'operato della stampa locale, basti ricordare a tal proposito la crociata di James Pallotta nei confronti delle radio romane. In tal senso la linea è quella di una comunicazione sempre più istituzionalizzata, sempre più vagliata dai canali social ufficiali, con una certa insofferenza nei confronti di voci alternative. C'è poi una parte neanche troppo minoritaria della tifoseria che, anche a fronte degli investimenti sostenuti, apprezza e condivide la logica del noi vs voi adottata da Rocco Commisso, volendo far quadrato attorno al presidente e vedendo nei giornalisti un potenziale nemico della società.
A margine potremmo sottolineare quanto, in effetti, possa essere complesso per una proprietà arrivare a sostenere e accettare voci critiche, attacchi mediatici o mugugni costanti (soprattutto a fronte di investimenti ingenti) Il piano della dialettica, quello percorso fin qui da Commisso anche con verve provocatoria, fa comunque parte di schermaglie e di strategie comunicative legittime, il discorso finisce però per spostarsi nel momento in cui si pone un marchio sul nome di un giornalista (o di un qualsiasi tifoso munito di biglietto), nel momento in cui si arriva a tirar fuori l'etichetta di "persona gradita". Una deriva che, ora più che mai, richiede un chiarimento e un abbassamento dei toni (anche per limitare il ritorno negativo a livello nazionale di una simile vicenda).