Lele Adani e l'arte di sfondare la porta

Adani
Adani / Jonathan Moscrop/GettyImages
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Proviamo per un attimo a immaginare un compassato telecronista, col suo abito elegante e il suo portamento d'altri tempi. Immaginiamocelo seduto, composto, col microfono in mano: non si scompone e non perde il suo aplomb, qualunque cosa accada in campo.

Il fantasista s'inventa un filtrante che lancia la punta verso la porta, un intervento a gamba tesa porta via l'avversario con violenza, da fuori area parte un bolide indirizzato al sette...niente, lui rimane fermo, rimane didascalico, non osa uscire dalle righe.

A un certo punto della ripresa però, senza preavviso, dalla tribuna stampa arriva un grido che rompe quell'incanto: "Eccolo qui! Mille e uno màs! Mille e uno màs! Trasforma l'acqua in vino!". Il nostro telecronista rimane impietrito, per la prima volta il suo contegno mostra qualche falla, non sa davvero come fare a riprendere la parola dopo che qualcuno, con un calcione, ha sfondato la porta.

La passione di Messi

Si sintetizza così, in un'immagine di tempi diversi che s'intrecciano, tutto il putiferio esploso per l'approccio caloroso ed entusiasta (indugiando nel regno degli eufemismi) di Daniele Adani al commento tecnico, per quel suo vizio di lanciare le cose per aria quando ritiene che il momento lo richieda, come urgenza fisica.

Nell'indignazione e nella sollevazione popolare a riguardo c'è qualcosa di anacronistico, qualcosa di grottesco: come se non fossero mai esistiti - tra Nando Martellini e il presente - già decenni di telecronisti professori, di commentatori tecnici presi da narcisismo, di fisica quantistica applicata al pallone con la forza, di retorica spalmata sulle cronache per riempire gli spazi vuoti.

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Leo Messi / DIBYANGSHU SARKAR/GettyImages

Come se non fossero esistiti decenni di telecronache come nuovo pretesto per fare uno show personale, per parlare di sé più che del campo. Si scopre adesso dunque, come fosse aliena, la figura dell'ex calciatore che sceglie la via della passione in alternativa a quella della didascalia, che si avventura in un racconto più emotivo e abbandona (in quel momento) i panni del mero commentatore.

Del resto potremmo anche sostenere che non esista una singola modalità, da manuale, per raccontare in diretta un evento sportivo e che, in fondo, il racconto che rimane davvero è soltanto quello sincero: la scelta del modo e quella dei termini, in sostanza, non può che essere una diretta emanazione del professionista scelto in quel frangente.

Questione di decibel?

Si può dunque accusare qualcuno di accendersi per quel che lo accende o di entusiasmarsi per ciò che racconta? Sarebbe un controsenso, volendo dare un ruolo e una dignità alla passione. C'è però qualcosa che sconfina oltre, qualcosa che può davvero stridere, ed è la definizione dei contesti.

Torniamo a quella frase, quella urlata dopo aver buttato giù a calci la porta: "Eccolo qui! Mille e uno màs! Mille e uno màs! Trasforma l'acqua in vino!". Il nodo non sono i decibel, il nodo è ancor meno la blasfemia: la stessa frase, proiettandola in una finale dei Mondiali o nell'epilogo di una Champions League, suonerebbe già più al proprio posto, già più in sintonia con le orecchie di chi ascolta. Un'esaltazione così viva da poter restare impressa a lungo, se usata al momento giusto.

"La Partita Del Cuore 2022" Presentation
Lele Adani / Pietro D'Aprano/GettyImages

Messico e Australia, avversarie dell'Argentina nelle sfide commentate da Adani e finite nella bufera social, non rappresentano insomma antagoniste in linea con quell'epica, con quello scontro titanico che il tono di Adani sembra portare necessariamente in sé. Un fatto di momenti e, appunto, di contesti. Il tutto reso ancor più stridente dalla sede di quello show: una cronaca Rai. Si parla di quelle cronache infarcite di "tiri al fulmicotone", di "frangiflutti davanti alla retroguardia, di "finale al cardiopalmo". Si parla, cioè, di una frequenza differente.

Da un pianeta diverso

Adani arriva da un pianeta diverso, tutt'altro che istituzionale e ingessato, pur senza voler valutare quale sia il pianeta su cui si vive meglio. Arriva dalla Bobo TV, appiattendoci sul presente, ma proviene ancor di più da quella Sky che ha senz'altro dato spazio e voce al telecronista-showman, all'intrattenitore in grado di passare dal racconto di un corner alla gustosissima storia del cugino dell'ala destra e della sua infanzia ricca di spassosissimi aneddoti (nessuno dei quali, tra l'altro, legato al calcio).

Non è dunque il curioso richiamo al "rispetto della comunità messicana in Italia" a scuoterci, tantomeno ci turba l'idea di un Adani colto da estasi mistica, col piede sinistro di Messi associato a virtù salvifiche. Quella nota di perversione risiede altrove, risiede in un corto circuito post-moderno dato da due idee di racconto sportivo che fanno un frontale, da due epoche diverse che - plasticamente - si confondono e si sovrappongono, come le voci di una telecronaca di un Mondiale invernale giocato in Qatar.