Luciano Spalletti e i suoi capitani in fuga: malumori, silenzi e porte in faccia
Commentando la serie Speravo de morì prima, incentrata sull'addio al calcio di Francesco Totti e sulle ultime tappe della sua vita sul campo, Luciano Spalletti si concesse come suo consueto una via ironica per evitare risposte polemiche ma anche frasi di rito, citando la possibilità di poter a sua volta realizzare una fiction altrettanto valida. Il titolo? Speriamo de morì tutti dopo. Eppure, anche fuori dall'ironia di Spalletti, esisterebbe già un abbozzo di trama, un filo conduttore da seguire per realizzare l'opera col tecnico di Certaldo come protagonista: la storia di un allenatore che, in un modo o nell'altro, perde per strada i capitani, che vede ammainare bandiere e vacillare certezze.
Un percorso che ci porta a domandarci se possa esistere un filo conduttore tra le varie situazioni, un tratto che possa legare i casi - tutti a loro modo rumorosi - connessi a Francesco Totti, Mauro Icardi e Lorenzo Insigne. La risposta non appare nemmeno troppo nascosta o complessa da trovare: il nesso tra le prime due situazioni, le più spinose, emerge senza troppo scavare mentre, pensando ai risvolti più recenti relativi a Insigne, i tratti di affinità e somiglianza sono da ricercare nella necessità di gestire i mesi che precedono un addio (non figurando, stavolta, tra le cause che hanno finito per avvicinare l'addio stesso).
Spalletti e Francesco Totti
Il momento più emblematico, tanto da risultare poi il cuore della fiction sull'addio di Totti al calcio giocato, è senz'altro da ricercare nell'escalation che condusse inevitabilmente allo scontro, alla lotta senza quartiere tra il simbolo della Roma, e di Roma, e l'eretico che (suo malgrado) aveva ormai cucita addosso l'etichetta dell'assassino di bandiere, dell'iconoclasta privo di pietà e di considerazione.
Un uno contro uno parziale più che mai, nel racconto, che forse spinge lontani dal cuore della questione, dai nodi cruciali che l'hanno consegnata al mondo: un allenatore che vive per assicurare un presente e un futuro alla squadra che guida, tra mille insidie, e un uomo (prima che bandiera, prima che fuoriclasse) arrivato a dosare quel che una volta scorreva a fiumi, arrivato ad assaporare il campo, casa sua, sempre con minor frequenza, sentendo il suono sinistro del fischio finale avvicinarsi, smarrendo certezze per strada.
In questo caso il ruolo di Spalletti risultò tutt'altro che accessorio e casuale, il tecnico di Certaldo seppe essere per sua natura accentratore e causa di frequenti corti circuiti comunicativi che enfatizzarono lo scontro: dal "rinnovo di Totti ve lo puppate voi, non me lo puppo io" al disco di Mia Martini (Piccolo Uomo) mostrato in video a Ilary Blasi, come risposta alle accuse della moglie del capitano. Un video, quello col disco "donato" alla Blasi, che partiva come augurio a Totti per i 40 anni, con tanto di Delorean come regalo, per spostarsi nel tempo e plasmarlo a proprio piacimento, allontanando la fine dei giorni sul campo. Uno scontro dai toni aspri ma reso inimitabile da un legame nascosto tra le righe, da una riconoscenza passata, tramutata dagli anni in risentimento.
Spalletti e Mauro Icardi
Un intreccio non ripetibile e che difatti non si è ripetuto, regalando però nuove tappe nel rapporto conflittuale che Spalletti ha avuto coi "suoi" capitani. Nel caso di Mauro Icardi, all'Inter, manca però quel passato condiviso e mancano quei pezzi di vita percorsi insieme, quelli su cui si fondava tutto il senso epico del Totti vs Spalletti.
Ci spostiamo su un terreno più "sterile", su cui diventa complesso ricamare. Si parte però da un idillio, quantomeno sportivo, che vide Icardi segnare 29 gol in Serie A nella prima stagione di Spalletti alla guida dei nerazzurri. E poi...di nuovo un contratto tra i piedi. Dal campo alle firme attese, dai palloni in rete agli zeri di cifre da capogiro. Malumori, silenzi, distrazioni. Ancora una moglie, sì, ma stavolta in qualità di agente: Wanda Nara con la sua seccatura espressa sui social, i riferimenti certo non velati all'interesse di altri club, la presenza fissa in TV.
Una situazione che, dopo una multa al giocatore per un ritorno in ritardo dall'Argentina, si rese sempre più spinosa. Spalletti ammise quanto stesse diventando un discorso problematico da gestire, tanto problematico da vedere poi Mauro Icardi perdere la fascia in favore di Handanovic (tutt'ora capitano nerazzurro). Un contrasto che non trovò mai un epilogo felice e che, anzi, si tradusse gradualmente nel percorso verso l'addio, di Icardi così come di Spalletti. L'argentino non digerì la fascia tolta, Spalletti non contemplava dal canto proprio l'idea che un club come l'Inter dovesse implorare un proprio tesserato di rispondere alle convocazioni, di scendere in campo.
Forse proprio qui possiamo trovare una chiave, il filo conduttore che si ricercava: il club, agli occhi di Spalletti, possiede un DNA e un'identità che non possono dipendere dal singolo, neanche quando si tratta di un capitano, di un campione o persino di una bandiera. Gerarchicamente, di fatto, la dedizione per una causa viene prima del talento, la serietà nel lavoro viene prima dell'ego. Un approccio difficile da attaccare o condannare, certo condito da una verve talvolta istrionica e da una linea comunicativa che ha, ogni tanto, prestato il fianco alle provocazioni (tra ironia e attimi di frustrazione).
E poi c'è Insigne...
Infine c'è Lorenzo Insigne, c'è un altro capitano. Un simbolo del Napoli, giocatore che ha indossato per 415 volte la maglia degli azzurri e che, dal 2012/13, è un protagonista centrale nelle sorti della squadra partenopea a suon di gol e di funamboliche giocate. In questo caso non esistono ruggini e contrasti tra le parti, motivi per cui vedere Spalletti come complice o protagonista di un'uscita di scena. I nodi, in sostanza, si erano già creati in precedenza.
Esiste certo la necessità di gestire l'affare, di tenere tutto tra i ranghi e di togliere l'alone sempre deleterio di "caso" (l'ennesimo) sulle sorti della squadra. Il tecnico dovrà ricorrere a tutte le proprie risorse da equilibrista, a quello spirito ristorato negli anni passati senza una panchina. Lo dovrà fare, necessariamente, perché stavolta l'addio di un simbolo e la ripartenza non avranno luogo senza Spalletti ma, anzi, lo vedranno come guida e come punto riferimento per costruire ciò che verrà dopo.
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