Luka Jovic e il Franchi si parlano in una lingua particolare
L'impatto di un nuovo acquisto, sulla realtà che lo accoglie, passa da sfumature diverse e non si esaurisce sempre nel verdetto (obiettivo ma freddo) offerto dai numeri. Si va oltre, dunque, e per capire come funzioni un ambientamento occorre dunque passare da fattori diversi, aspetti di campo - come ovvio che sia - ma anche motivazioni e retroscena più privati, che si dipanano poi fuori dal terreno da gioco, legati soprattutto al bagaglio di un atleta (e di un uomo).
Se questo bagaglio, poi, ha dentro anni vissuti al Real Madrid diventa evidente che la percezione di sé, di quello stesso atleta, possa essere anche viziata, comunque alterata verso l'alto: è lecito immaginare che un calciatore come Luka Jovic percepisca il proprio status come superiore a quello della piazza in cui si trova attualmente, nello specifico la Fiorentina. Calarsi in una nuova realtà non è semplice in assoluto, ancor meno lo è di fronte a un pubblico sicuramente esigente e - ancor di più - è complesso gestire quell'insieme di attese che (dagli anni d'oro con la maglia dell'Eintracht) seguono inesorabili il serbo.
Uno strano dialogo
Al di là di un rendimento deludente in campionato, con soli 10 punti raccolti in 11 partite, la Fiorentina è riuscita a mostrare qualcosa di più sul fronte della concretezza offensiva, nelle ultime gare, e in questo senso Jovic sembra essersi effettivamente sbloccato, considerando sia il gol contro l'Inter (poi vanificato da Mkhitaryan pochi minuti dopo) che la doppietta contro il Basaksehir, tale da dare ai viola la certezza dei playoff di Conference. Due reti da cinico rapace dell'area di rigore, un istinto da killer che del resto Jovic mise in mostra in modo persino clamoroso ai tempi dell'Eintracht, e ancora una volta (come dopo il 3-3 con l'Inter) quell'esultanza provocatoria, le dita e le mani portate alle orecchie, come a invitare il pubblico ad alzare il volume.
E, dall'altra parte, un Franchi certo felice per i gol ma - al contempo - preso da una malcelata perplessità: "Davvero è questo il momento di lanciarsi in provocazioni, di cercare una rivalsa personale sul proprio stesso pubblico?", sembra chiedersi lo stadio di fronte a quel modo così peculiare di festeggiare il gol. Una perplessità emersa poi in modo ancor più evidente nel momento della sostituzione, con l'ingresso in campo di Cabral: un misto di applausi e di fischi rivolti a Jovic, come a ringraziarlo per i gol fatti, certo pesanti, senza però dimenticare quella sorta di affronto, quell'atteggiamento vissuto come supponente (ed evitabile) da una parte dei tifosi. Benzina sul fuoco, insomma, di cui si può fare a meno.
I numeri ci dicono però come questo curioso equilibrio - questo confronto conflittuale - possa funzionare e, del resto, non mancano campioni di un passato più o meno recente in grado di caricarsi coi fischi, di assorbire i mugugni del pubblico per farne una forza propulsiva: un dialogo strano e insolito, quello tra Jovic e il suo attuale pubblico, che non ci racconta di un idillio o di una simpatia, no, ma che paradossalmente può fornire al serbo quella rabbia e quel desiderio di rivalsa tali (anche egoisticamente) da portare gol e punti alla causa viola. Anche senza sorridersi, almeno per adesso, si può trovare un punto d'accordo che appaghi ogni parte in causa, che serva a tutti: per diventare amici, poi, ci sarà tempo.