Manchester City a caccia del Treble: il primo mattone è la Premier League
3/3, 5/6 o 1/3. Frazioni simboliche, ma che provano a resitituire il senso di un Manchester City dominante. La squadra di Pep Guardiola ha vinto la Premier League, ancora.
3/3. L'ha fatto per la terza volta consecutiva, come era successo ad Huddersfield e Arsenal agli albori del calcio inglese, al Liverpool negli ottanta e al Manchester United di Sir Alex Ferguson tra il 1998 e il 2000 e tra il 2006 e il 2009.
5/6. Andando indietro di qualche stagione emerge anche come Pep Guardiola abbia trionfato in cinque delle ultime sei stagioni di Premier. In Inghilterra ha allenato per sette annate, arrivando terzo nelle prima (2016-17) e secondo, alle spalle del Liverpool, tre anni fa (2019/20). Al termine delle altre ha sempre festeggiato.
Dei 30 trofei della più che centenaria storia del Manchester City, lui ne ha vinti 12, incidendo per quasi metà del Palmarés. Modificando la struttura e l'immagine del club nel calcio contemporaneo. Un club abituato a spendere (ma vincere meno) anche con i suoi predecessori, ma che soltanto con il catalano è riuscito a dominare l'Inghilterra e forse anche l'Europa.
1/3. Soltanto per questioni temporali, il Manchester City ha vinto la Premier League prima delle altre competizioni. Quelle che gli permetterebbero di conquistare uno storico Treble. C'è la Finale di FA Cup con un inedito derby di Manchester in programma il 3 giugno a Wembley alle ore 16. E c'è soprattutto un'altra Finale di Champions League, la seconda della sua storia, che si disputerà a Istanbul il 10 giugno, una settimana più tardi, contro l'Inter di Simone Inzaghi.
La quinta Premier
La gioia non è quella incontenibile di chi non vince mai, lo sarebbe stata per l'Arsenal. È il sentimento di rilassamento e consapevolezza di chi lo fa ancora, in maniera sempre più difficile, per scrivere pagine di storia che verranno ricordate per decenni. Il Manchester City dell'era Guardiola ha fagocitato la Premier League, alzato la soglia punti, costretto le avversarie ad accarezzare soltanto l'idea di finire la stagione da campioni.
Anche nell'anno in cui la rivelazione aveva sorpreso tutti. L'anno in cui una sorta di karma molto vendicativo sembrava voler punire a tutti i costi Pep Guardiola. L'Arsenal è stato molto vicino al trionfo in patria, prima di cadere nel solito psicodramma, nella poca abitudine alla vittoria o, per non sfuggire alla realtà delle cose, prima di perdere contro un avversario troppo forte per tutti. Un Arsenal che sapeva di City, per il suo allenatore (Mikel Arteta), per il modo di affrontare le partite e per due pedine fondamentali (Zinchenko e Gabriel Jesus, arrivate proprio da Manchester in estate.
Ai Gunners, oltre a una rosa di livello nettamente inferiore, è mancata anche la componente esperienziale che ha invece donato al City il boost necessario per una rimonta che a tratti sembrava impossibile. Se prendiamo la formazione titolare dei citizens contro il Real Madrid, ci accorgiamo di una media età di 28.8 anni nell'undici titolare, media di quasi 3 anni superiore alla formazione-tipo dell'Arsenal.
Ovviamente però, non è stata tutta "colpa o merito" dell'esperienza. Guardiola è riuscito a reinventarsi, modificando parti del sistema e interpreti del suo gioco, divertendo i suoi spettatori e dominando i suoi avversari con uno stile che non passa mai di moda. Il suo calcio è sempre difficilissimo da contenere, misurato nel breve e nel lungo periodo, i suoi cicli non finiscono.
È la Premier di un gruppo squadra unito, che gioca insieme da anni. Un gruppo che ha ormai assorbito e convive con l'etichetta di squadra che vince perché costruita a tavolino con campioni che ogni anno fanno la valigia e aprono un armadietto nuovo all'Etihad (come se per gli altri Top Club del mondo e soprattutto di Premier non funzioni allo stesso modo). Il City accoglie e saluta top player, ma a differenza degli altri, ha creato un dominio lontano dall'accettazione comune. Forse perché non è bello raccontare che quello che dovrebbe essere il campionato più entusiasmante del panorama europeo venga costantemente piegato al volere di De Bruyne e compagni. Dominio che non si può ancora giustificare, in modo errato e troppo semplicistico, con le centinaia di milioni spesi sul mercato.
La realtà del XXI secolo dice una cosa abbastanza chiara. Al dominio del Barcellona in Spagna, della Juventus in Italia, di Bayern Monaco in Germania e del PSG in Francia, va aggiunto quello del Manchester City in Inghilterra.
Eccolo il momento dell'esultanza lontano dal campo. I giocatori erano insieme, seduti davanti alla TV, mentre maturava la sconfitta dell'Arsenal contro il Nottingham Forest. Come nell'anno del Leicester di Ranieri, ma anche in modo tremendamente opposto.
Nei primi dieci giorni di giugno il Manchester City si giocherà "la stagione". Perché c'è un trofeo, la Champions League, che Guardiola sembra essere obbligato a vincere ogni anno e che, da quando è volato lontano da Barcellona, non ha più centrato. I citizens, mai come in questa stagione, sono favoriti alla vittoria finale. Cadere contro l'Inter farebbe rumoreggiare non solo i critici più ferventi del tecnico catalano. E, guardando al percorso e a ogni fattore (di campo ed extra), il City è favorito come non è forse mai capitato nella storia recente della Champions. Che non si faccia però l'errore di giudicare il capolavoro di questi 7 anni a Manchester solo dalla partita più importante.