Mkhitaryan: "Quel che successe con Mourinho resta a Manchester. Scudetto? Fate i conti con la Roma"
C'è stato un momento in cui Henrikh Mkhitaryan sembrava lontano dalla Roma, dopo l'arrivo di José Mourinho e la proposta di rinnovo di contratto presentata da Tiago Pinto. Ma alla fine, per la gioia di tutti, l'attaccante armeno ha deciso di restare nella Capitale nonostante la corte di diverse squadre (tra cui il Milan) per restare al centro del progetto targato Mourinho. Del rapporto col tecnico, in particolare, Mkhitaryan ha parlato in un'intervista esclusiva rilasciata al Corriere dello Sport direttamente dal ritiro portoghese in Algarve.
Henrikh, come procede il ritiro?
«Stiamo lavorando bene, cerchiamo di fare tutto quello che il tecnico ci chiede, lavoriamo su aspetti che nel passato avevamo trascurato».
Su cosa, in particolare?
«Beh no, non posso rivelarlo, è un segreto». (ride, n.d’i.)
L’arrivo di Mourinho alla Roma ha riportato nell’ambiente la speranza di vincere.
«Quando giochiamo una competizione, qualsiasi essa via, l’obiettivo per me è sempre quello di vincere. Se giochiamo a pallone è un conto, ma io gioco sempre per vincere. Non ho mai giocato per divertirmi e basta. Senza i trofei alla fine della carriera non ti resta niente. Io e i miei compagni vogliamo vincere per restare nella storia del club».
Ci ha pensato un po’ prima di convincersi a restare alla Roma.
«Non ho avuto dubbi, ma volevo avere la testa fresca per prendere la decisione migliore per me. Avevo avuto delle offerte, in Italia e all’estero, ma la decisione più giusta è stata quella di restare alla Roma».
Con Mourinho il rapporto non era stato facile a Manchester. Vi siete chiariti?
«Quello che è successo a Manchester rimane a Manchester. Noi abbiamo parlato da persone mature, tutti e due vogliamo andare per la stessa strada, tutti e due vogliamo vincere qualcosa per la Roma. L’unica cosa che conta quest’anno».
Mourinho sta trasmettendo alla Roma la mentalità vincente.
«Per lui conta solo vincere. Lo scorso anno ci sono state partite in cui giocavamo benissimo e alla fine perdevamo. E’ meglio giocare male e portare a casa i tre punti, il contrario a me non piace. E’ successo spesso lo scorso anno, mancava qualcosa, alla fine abbiamo pagato per una questione di dettagli».
Numeri alla mano, lo scorsa stagione è stata la migliore della sua carriera: 15 gol complessivi e ben 13 assist.
«Spero di potermi ripetere, per me quello che conta è che la squadra possa ottenere risultati. Se riesco a dare il mio contributo con gol e assist tanto meglio».
Attaccante esterno o trequartista. Dove preferisce giocare?
«A me piace giocare in qualsiasi ruolo. Lo scorso anno ho fatto anche la prima punta in qualche partita. Ho giocato dietro il centravanti, sono stato impiegato da seconda punta, a centrocampo. Con Mourinho al Manchester ho fatto anche il terzino sinistro».
Come ha trovato Mourinho rispetto a quell’anno e mezzo trascorso insieme al Manchester?
«E’ la stessa persona, ma con più voglia di vincere di allora. Un allenatore come lui non molla mai, vuole vincere sempre. Questa caratteristica è innata, non si acquista con il tempo. Mourinho è speciale per questo».
Anche lei in campo non molla mai. Si è visto anche contro il Porto...
«Lo dico chiaro: un giocatore, Pepe, non ha fatto un intervento duro, ma è entrato per fare male. Per questo mi sono arrabbiato. Anche se era un’amichevole, era importante per loro ma anche per noi, ci sono stati scontri decisi. Io in campo sono così. Sempre. Voglio vincere anche in allenamento. Una brutta scena, succede, speriamo non succeda più. Per me è finita lì».
Quali sono le favorite per lo scudetto?
«Il campionato sarà molto equilibrato, ci sono diverse squadre attrezzate per vincere. E’ difficile per tutti. Noi abbiamo una buona squadra, sappiamo dove vogliamo arrivare. Senza fare proclami penso solo alla prossima partita, l’amichevole con il Siviglia. Ma chi punta a vincere lo scudetto deve fare i conti con la Roma. Vogliamo fare cose concrete, non mi piace sognare».
Uno dei compagni ai quali è più legato è Edin Dzeko.
«Prima di arrivare alla Roma lo avevo incrociato solo in Nazionale. Con l’Armenia battemmo la Bosnia 4-2. E’ un piacere per me giocare con lui, ho un bel rapporto con Edin come con gli altri. Questa squadra per me è come una famiglia, vinciamo e perdiamo insieme, siamo tutti responsabili di quello che succede».
Nella passata stagione Dzeko è stato messo fuori rosa e ha perso la fascia di capitano.
«E’ stata una brutta storia per tutti noi, nessuno voleva che si verificasse una rottura così. La cosa positiva è che da allora abbiamo continuato a lavorare e giocare per aiutare la squadra. Trovammo un accordo, saremmo andati avanti fino alla fine della stagione e Edin ci avrebbe dato una mano, come ha sempre fatto. Anche senza la fascia Dzeko è il nostro capitano, per la sua esperienza, il carisma, tutti sanno quanto è importante, tutti lo amano. La fascia non conta. E a 35 anni resta il nostro bomber».
Lei ha scelto Mino Raiola, un procuratore tra i più influenti nel calcio. Ha avuto un ruolo determinante nella sua permanenza a Roma.
«Non è solo un agente, è un amico. Lo conosco dal 2013, quando ero allo Shakhtar e volevo andare via. Mi ha aiutato tanto per il trasferimento al Borussia Dortmund. Lui è felice se i suoi calciatori stanno bene e giocano. Se qualcuno non trova spazio lo aiuta ad andarsene. Poi magari i direttori sportivi non lo amano perché punta a ingaggi alti, ma secondo me ci sa fare e ha una soluzione per tutto».
Lei parla molto bene l’italiano, lo conosceva gia prima di venire alla Roma?
«Sapevo qualche parola, ma non mi esprimevo bene. Con Claudio (Bisceglia, l’interprete, n.d’i.) ho imparato tanto, sto leggendo libri, vedo film con i sottotitoli in italiano. Anche questo aiuta».
Eppure l’Italia era nel suo destino. Nel giugno del 2019 il matrimonio a Venezia, pochi mesi prima del trasferimento alla Roma.
«Con mia moglie Betty decidemmo di sposarci a San Lazzaro degli Armeni, una piccola chiesa in un’isola della laguna veneziana. Ero all’Arsenal e dopo il viaggio di nozze cominciai la preparazione con la squadra. Quando capii che non avrei trovato molto spazio ho cercato una soluzione per andare a giocare. Con la Roma è successo tutto in un giorno. Ho subito dato il mio gradimento al trasferimento in Italia. Tanti compagni, tra cui Ibrahimovic e Pogba, mi raccontavano come i calciatori siano amati nel vostro Paese».
Ci racconta come Al Bano è finito a cantare al suo matrimonio?
«Fu un regalo dello zio di mia moglie. Fino al giorno prima non sapevo nulla, fu una sorpresa. Al Bano è molto popolare in Armenia, come altri artisti italiani. Ci piace la vostra musica».
La passione per il calcio gliel’ha trasmessa suo padre, Hamleth, morto a 33 anni per un male incurabile quando lei era un bambino.
«Sì, il primo pallone me lo regalò lui. Ho ricordi sfocati, l’ho perso quando avevo sette anni. Ricordo che ogni volta che andava all’allenamento mi mettevo davanti all’ingresso di casa e piangevo se non mi portava con lui. Non riuscivo a capire che era complicato andare al campo dove si allenavano i grandi. Se sono diventato un calciatore professionista lo devo a lui. Lo ringrazierò sempre. Oggi se fosse in vita sarebbe orgoglioso di me, ma magari la mia carriera avrebbe preso un’altra piega».
Suo padre giocava attaccante, come lei.
«Era uno dei più importanti calciatori armeni, prima dell’indipendenza ha giocato nella Nazionale sovietica e ha fatto in tempo a fare due presenze in quella armena. E’ stato il secondo calciatore armeno a giocare in Europa, dopo Dasaev. Quando torno a casa mi parlano tanto di lui, mi raccontano storie. Mi sento orgoglioso di avere avuto un padre come lui. A mio figlio ho dato il suo nome».
L’ambasciatrice in Italia a Roma l’ha invitata a un incontro con la comunità armena a Roma, che vanta circa duemila persone.
«Finora non ho avuto l’opportunità di accettare l’invito, perché poco dopo che sono arrivato a Roma è scattata l’emergenza Covid, ma appena sarà possibile sarà un piacere incontrare i miei connazionali in Italia».
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