Mourinho è un fiume in piena: l'esonero, il rapporto con i tifosi e il futuro
Dopo l'esonero da parte della Roma, José Mourinho ha deciso di parlare nel podcast FIVEUK che vede protagonisti Stephen Howsone e Rio Ferdinand. Tantissimi i temi toccati dallo Special One, in particolar modo sull'ultima esperienza nella Capitale.
"L'esonero con la Roma è stata una decisione della proprietà e devo rispettarla senza discuterne. Sì, lo stadio era sempre pieno e capisco perché me lo chiediate e lo stupore. I tifosi sono il cuore di una squadra di calcio ma c'è una proprietà e quando il proprietario decide devi rispettarlo. Credo di poter dire che sia stata la decisione che mi ha dato maggiormente fastidio. Ho dato davvero tutto per la Roma, ci ho messo il mio cuore e ho anche rifiutato alcune opzioni e preso scelte che professionalmente nessuno riterrebbe furbe. Ho rifiutato grandi opportunità. In passato ho lasciato club dopo aver vinto delle finali e nel caso della Roma sono stato emotivo fino alla fine e fa male".
"Tra le opzioni c'è il Portogallo, la miglior nazionale di sempre e tre anni prima di una Coppa del Mondo. Poi ho avuto grosse proposte dall'Arabia Saudita. Non ho accettato. Solitamente sono molto pragmatico e con le emozioni sotto controllo. Due finali di fila in Europa non capitano spesso, soprattutto in un club come la Roma. Però la gente per strada mi diceva di portarli a Dublino (sede della finale di questa edizione dell'Europa League, ndr)".
"Ho sempre pensato che lasciare un club nel modo in cui l'ho sempre fatto, per mia decisione o del club, fosse il modo giusto. Lasci e vai avanti. Anche quando la mia squadra non è un top team, giocare contro di noi è sempre difficile. Una squadra come la mia deve partire dal basso e ragionare come squadra. A volte quando nel calcio è troppo facile per un big team battere facilmente una squadra più piccola mi chiedo come sia possibile. Una squadra, anche se non hai tanto potenziale, deve sempre dare la sensazione che giocare contro di te sia complicato. Non parlo di vincere trofei, per quello serve di più, ma di dare battaglia sì".
"Per costruire una squadra competitiva serve connessione fra tutte le strutture. I giocatori devono essere molto intelligenti non in quanto a Quoziente Intelletivo ma nella capacità di analizzare le situazioni, nel capirsi al primo sguardo. Penso che le strutture societarie oggi siano molto complesse rispetto al passato quando magari c'era Ferguson allo United e in due secondi capivi tutto. Oggi la complessità organizzativa non può essere un problema, deve essere il più facile possibile per far capire che c'è qualcosa di forte attorno alla squadra".
"Le rivalità sono ovunque: Roma, Spagna, Portogallo, anche in Inghilterra dove c'è più disciplina. Nei paesi latini c'è più emozione anche dal punto di vista dell'aggressività. Ma devo dire che gli anni al Real Madrid furono di una grandissima rivalità con il Barcellona. Avevamo la sensazione che il mondo si fermasse quando giocavamo contro, anche perché c'erano alcuni dei migliori giocatori del pianeta, come Ronaldo e Messi, probabilmente nel miglior momento della loro carriera. Inter-Juve è la vera rivalità, non Inter-Milan. Il primo derby contro i rossoneri me lo ricordo. Ero sul nostro autobus, guardavo fuori e vedevo i tifosi con sciarpe diverse arrivare insieme, amichevoli. Non l'ho sentito come un grande derby. Quando giochi con l'Inter contro la Juventus invece senti subito che tra le due squadre c'è qualcosa di storicamente complicato".