Nessun karma, nessun fallimento: Vlahovic, ora serve equilibrio
Chi volesse ostinarsi a individuare nei trofei o nei traguardi sportivi il reale obiettivo da perseguire nel calcio, la missione a cui votarsi e su cui porre la propria attenzione, commetterebbe un errore grossolano, si rivelerebbe miope.
Ormai è chiaro a tutti come il senso di rivalsa passi da altre strade e, di fatto, costituisca la nuova gloria: il fallimento del nemico come faro che guidi, come consolante appiglio da conservare gelosamente. Tra le parole più ricorrenti del nuovo vocabolario calcistico, attraversandone soprattutto la vivace vita che brulica sui social, figura del resto un termine certo esotico ma ormai inglobato nel nostro immaginario: karma.
I mali altrui
Secondo la sua nuova connotazione, quella associata al pallone, il karma rappresenterebbe un destino beffardo e pronto a giocarti brutti scherzi, a metterti davanti difficoltà che - attraverso le tue azioni passate - sei andato a cercarti. Un trasferimento alla rivale giurata di sempre, seguendo questa linea, diventa così il più pesante dei fardelli da trasportare: ogni passo sarà a quel punto osservato con poco riguardo, ogni auspicio diverrà rivolto al negativo.
Succede dunque che, di fronte a un momento di fragilità o di difficoltà oggettiva come quello di Dusan Vlahovic, si alzi un coro gioioso, si animi di allegria la parte opposta della barricata: non manca, nel mondo social come fuori, un ghigno soddisfatto sul volto dell'amante tradita. Non mancano insomma, nel popolo della Fiorentina, segni di compiacimento e di giubilo, segni che suggeriscano quanto poco s'impari dal passato e quanto non si riesca a proiettarsi nel futuro (neanche in quello troppo a lungo termine).
Passato e futuro
Da un lato dovrebbe tornare alla mente quanto accaduto con Federico Chiesa, apostrofato dopo gli intoppi iniziali alla Juve - come un colpo di mercato per chi lo cedette - e poi divenuto una certezza nella sua nuova realtà, in risposta a quel ghigno iniziale. D'altro canto occorrerebbe spostare il punto di vista, renderlo più ampio: difficile, in sostanza, poter percepire come punizione divina o come rivalsa dei giusti una qualificazione in Champions League e la possibilità di giocarla da protagonista, nella prossima stagione, senza alcun dubbio sulla titolarità o sulla centralità all'interno del progetto bianconero. C'è di peggio, a una prima occhiata.
Il richiamo del presente, quell'aria sconsolata e quei mugugni rumorosi di chi inizia a porsi domande, non può bastare per porre un'etichetta addosso a chi - fin qui - ha collezionato 50 gol in 111 presenze in Serie A (a soli 22 anni). Un monito valido sia per chi lo osserva sfiduciato, avendolo visto come salvatore della Patria, che per l'amante tradita che ne attende l'inciampo: l'equilibrio professato da Allegri, sia placando gli entusiasmi iniziali che non drammatizzando adesso, è l'unica via per comprendere i primi mesi bianconeri di Vlahovic.
Il gioco dei paradossi
Nel gioco dei paradossi che spesso il calcio ci offre appare chiaro come l'inizio promettente, con quei gol arrivati nelle prime uscite, abbia per certi versi creato un'immagine fuorviante del giocatore, ne abbia tracciato un profilo ingigantito rispetto a quello da valutare sul lungo periodo. Al contempo 6 gol in 13 uscite non possono essere derubricati come "fallimento", il ruolo di Vlahovic nel girone di ritorno vissuto dalla Juve va riconosciuto in chiave virtuosa.
Infine, ad oggi, non è possibile spostarsi dall'accoppiata Allegri-Vlahovic come fondamenta della prossima Juve, diventa deleterio mettere in discussione in modo alternato chi fino a poco prima eleggevi ad eroe, cedendo alla tentazione di spostare giudizi troppo presto. D'altro canto, osservandola dalla sponda di chi si sente tradito, esiste ed è forte la minaccia di un karma che (di fronte a chi si sfrega le mani troppo presto) ha di mostrato di saper essere realmente severo.
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