Niente drammi, niente sorprese: CR7, un bel finale non esiste per nessuno
Una delle frasi più utilizzate quando un tecnico commenta voci legate a un potenziale arrivo di Cristiano Ronaldo nella propria squadra, una sorta di mantra a cui si ricorre per non entrare del tutto nel merito, è da tempo la seguente: "Chi non vorrebbe avere un campione del genere in squadra?". Una domanda utilizzata come risposta, insomma, un modo come un altro per togliersi la responsabilità di spiegare - e sarebbe un procedimento lungo - cosa comporta nei fatti la presenza di una star di livello mondiale, di uno dei più forti giocatori di sempre, all'interno di un club e di uno spogliatoio.
Dall'Olimpo alla terra
Qualche anno fa gli occhi del tecnico di turno si sarebbero illuminati, sarebbero apparsi semplicemente speranzosi, quelli di chi sogna, mentre adesso - appunto - il piano è differente e le reazioni dicono altro, raccontano un momento fisiologico nella storia di un campione, quello della parabola che conduce verso l'epilogo.
Dalle risposte di chi immagina a quelle di chi CR7 lo vive nel quotidiano, al Manchester United: le dichiarazioni in questo senso, pensando a quelle di Ten Hag, si spostano dalla retorica e si fanno più concrete, tirano in ballo "inevitabili conseguenze" e di fatto conducono a un'esclusione punitiva di CR7 contro il Chelsea, dopo quanto accaduto a margine del successo sul Tottenham, col rifiuto di entrare in campo nei minuti finali della sfida.
Atteggiamenti di sicuro impopolari, quelli della versione presente del fuoriclasse portoghese, che raccontano di fughe indesiderate, di assenze, che ce lo propongono quasi come oggetto estraneo alla squadra. Un aspetto che Ten Hag ha voluto porre al centro, spiegando le contromisure prese, per favorire "la mentalità e l'attitudine di un gruppo". Diventa insomma stridente, oggi, immaginare un CR7 posto in contraddizione con mentalità e attitudine, di fatto due basi cruciali della sua ascesa e del suo successo, come cifre distintive della sua natura di campione.
Non siamo al cinema
Diventa anche ampio il divario tra quel professionista inappuntabile che rifiuta persino le bevande gassate (leggendario il suo "agua", pronunciato in conferenza stampa) e il profilo quasi infantile - nella recente narrazione - di un'irrequieta superstar, perennemente spazientita. Da qui alla sassaiola mediatica il passo è breve: nessuno ti vuole, arrenditi, sei finito.
Una levata di scudi surreale, pensando alla storia del portoghese (alla luce anche di una presenza nei 30 candidati per il Pallone d'Oro 2022), un atteggiamento da un lato in linea con le recenti derive poco professionali ma che, in maniera superficiale, non tiene conto di una ingombrante realtà: un bel finale non esiste e, no, non è colpa di CR7.
Smontare dunque a posteriori il mito diventa operazione poco onesta intellettualmente, perlomeno se fatto senza contestualizzare. Si tratta semplicemente di capire come gli ultimi anni di un calciatore presentino sfide, contraddizioni e motivi di frustrazione del tutto peculiari rispetto ad altri momenti, a quelli della crescita e dell'affermazione.
Nei giorni dell'elogio a chi maturando si affina, come testimoniato dal Pallone d'Oro a Benzema, potremmo d'altro canto individuare un'infinità di casi meno virtuosi che - come ultimi capitoli - hanno offerto pagine tutt'altro che confortanti, non leggendarie o comunque ricche di lati oscuri.
Anche ripensando a un finale epico e cinematografico come quello che ci ha regalato Francesco Totti, del resto, possiamo trovare la natura conflittuale del rapporto con Spalletti come contraltare drammatico, assieme all'incapacità di lasciarsi andare, di mollare quel pallone che - del resto - era parte centrale nella quotidianità del capitano giallorosso. Un conflitto interiore profondo, slegato semplicemente dalla dimensione sportiva.
Ma volendo riflettere anche sull'eterno "rivale di Ronaldo", Lionel Messi, vediamo come l'addio al Barcellona abbia in qualche modo tracciato un solco, anche a fronte di una prima stagione deludente al PSG, un taglio netto tra il mito assoluto e il fuoriclasse strapagato. Non mancano poi esempi legati a chi ha abbandonato l'Europa per tentare la fortuna altrove, di campioni di livello assoluto che si sono concessi esperienze "esotiche" ma certo calcisticamente poco memorabili, lontane da qualsiasi glorioso finale, da ogni ipotetica sceneggiatura.
Correlare del resto le dimensioni epocali di un campione a quelle di un singolo club è complesso, diventa una questione di proporzioni e di equilibri: l'idea di essere parte di qualcosa di più grande può essere ragionevolmente aliena per chi, a tutti gli effetti, è stato per tutta la vita accentratore, per chi ha avuto in mano uno scettro (con ogni ragione) e trova adesso meno salda quella presa, coi comuni mortali - sotto - che fanno troppo rumore.
Segui 90min su YouTube