Paulo Dybala, come superare Platini lasciando un senso di irrisolto
Dopo il doppio passo falso in campionato, contro Sassuolo e Verona, la Juventus necessitava come l'aria di una risposta d'orgoglio e di una prova incoraggiante: il 4-2 di Champions League contro lo Zenit ha permesso agli uomini di Allegri di raggiungere la certezza di partecipare agli ottavi e, al contempo, ha consegnato al tecnico e all'ambiente bianconero un Paulo Dybala in grande spolvero, con tanto di fascia da capitano al braccio, capace di superare e poi staccare Michel Platini nella classifica dei marcatori della Juventus grazie ai 106 gol totali messi a segno fin qui (lasciandosi al contempo alle spalle anche John Charles, a quota 105).
Momenti importanti, resi con efficacia ancora maggiore da quell'esultanza-omaggio a Platini, e una rinnovata certezza di come questa Juve sia, più che mai, quella di Dybala, col conseguente bisogno vitale dell'argentino per fare la differenza anche in Serie A dopo un avvio da dimenticare.
Resta però, oltre a questa consapevolezza, anche l'impressione che esistano due Dybala diversi: quello dell'abbraccio festoso di ieri, dei numeri che restano nella storia, e quello che negli anni ha scatenato mugugni, critiche (neanche troppo lontane nel tempo) e più di una voce di addio.
Prima di CR7
La prima stagione in bianconero di Dybala fu senz'altro in linea con l'investimento fatto dalla Juve, dopo l'esplosione con la maglia del Palermo nei tre anni in rosanero: un impatto cruciale nella rimonta che caratterizzò la stagione 2015/16, con avvio stentato e successiva striscia positiva da incorniciare.
In quella annata partita male ma poi decollata il vestito tattico della Juve era un 3-5-2 che vedeva Dybala giostrare accanto a Mandzukic, un partner senz'altro ideale per permettere alla Joya di esaltare il proprio bagaglio tecnico, accollandosi tanto lavoro sporco e un'innata indole al sacrificio (rara per una prima punta). Anche il dialogo con Pogba favorì senz'altro l'esplosione dell'argentino e il suo impatto già formidabile nella prima stagione bianconera.
L'anno successivo sancì il graduale passaggio dal 3-5-2, che tanto bene aveva funzionato nel 2015/16, al 4-2-3-1: un cambiamento non di poco conto che portò Dybala a giostrare perlopiù alle spalle di Higuain ma che non penalizzò la Joya, capace comunque di chiudere la stagione con 11 gol e 8 assist in Serie A e con 4 gol in Champions League.
La stagione 2017/18 si rivelò poi la migliore dal punto di vista realizzativo, con 22 reti in Serie A per Dybala: un contributo importante per mantenere lo Scudetto cucito sul petto in una stagione vissuta alle spalle di una prima punta nel 4-2-3-1 (Higuain) e qualche difficoltà in più nel 4-3-3 (complice la presenza di Mandzukic largo a sinistra e la concorrenza di Douglas Costa a destra).
Punto di non ritorno
Quello che è stato però raccontato spesso come il "declino" è iniziato con l'arrivo di Cristiano Ronaldo alla Juve, alla vigilia della stagione 2018/19, l'ultima con Allegri in panchina prima del provvisorio addio del tecnico livornese. L'arrivo del portoghese in bianconero è senz'altro uno dei due aspetti chiave per spiegare il senso di "irrisolto" che talvolta circonda Dybala, a fronte di un impatto concreto e visibile alla causa bianconera fin dal suo approdo a Torino.
Sulla carta non sembravano esserci aspetti tali da precludere un ruolo da protagonista alla Joya, pur in presenza di CR7, ma è difficile vedere un caso nel calo espresso nell'arco di una sola stagione e in una collocazione mai individuata in modo definito e soddisfacente. Allegri in sostanza immaginava Cristiano Ronaldo assieme a una prima punta più strutturata fisicamente, un centravanti, un giocatore sicuramente diverso da un elemento tutto tecnica e creatività come Dybala: non si è compiuta, effettivamente, la trasformazione di CR7 in una prima punta in tutto e per tutto, in quell'elemento capace di dialogare al meglio con Dybala.
L'arrivo di Sarri nel 2019/20 ha senz'altro rimescolato le carte in modo favorevole per la Joya (11 gol a fine stagione e un contributo nuovamente valido alla causa) ma è innegabile che la convivenza al primo anno di Ronaldo in Italia abbia sancito una sorta di punto di non ritorno nella percezione di Dybala, nella sensazione che manchi sempre qualcosa alla consacrazione o al definitivo riscatto (tanto da prestare il fianco, a suo tempo, a insistenti voci di addio).
La stagione 2020/21 ha poi riportato la situazione a quella di declino emersa già nell'ultimo anno di Allegri, con la complicità ulteriore di un infortunio (la lesione al legamento collaterale mediale del ginocchio sinistro) che ne ha certo affossato la possibilità di riscatto, assieme a un "nomadismo" tattico certo poco virtuoso per ritrovare continuità.
La Coppa che vale tutto
Il momento attuale della Juve, dopo le tappe chiave del ritorno di Allegri e dell'addio di CR7, è sotto gli occhi di tutti: in campionato il distacco dalla vetta è tale da non rendere verosimile neanche l'impresa più epocale, per sognare il ritorno al titolo, ma dall'Europa che conta arrivano segnali importanti e una via maestra - dal punto di vista di Dybala - per lasciare definitivamente alle spalle dubbi e ostacoli passati.
Tornando al parallelismo con Platini, ormai superato a livello di reti messe a segno in bianconero, si può anche capire come la Coppa Campioni vinta dal francese nell'84/85, da capocannoniere, abbia spinto ulteriormente il suo nome tra le leggende: proprio la finale di Champions League persa col Real nel 2017, assieme alla convivenza complessa con CR7, hanno rappresentato fin qui due dei motivi nevralgici per cui il nome di Dybala non è riuscito a consacrarsi una volta per tutte nell'Olimpo bianconero.
Una Juve a caccia di una nuova identità autorevole e un percorso incoraggiante in Champions, adesso, possono dunque rappresentare il trampolino per togliere qualsiasi ombra su chi, di fatto, merita finalmente una consacrazione priva di spazi oscuri.
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