Perché gli allenatori contestano le decisioni degli arbitri di Serie A?
Con un turno infrasettimanale alle porte, appare alquanto anacronistico parlare ancora della giornata di Serie A appena conclusa. Guardando le partite del weekend c'è però un dato sul quale è impossibile sorvolare. Nei 10 incontri della 9ª giornata del campionato italiano, ben 4 allenatori sono stati espulsi.
Coincidenza? Forse. Oppure è sinonimo di un fenomeno più grande che meriterebbe un approfondimento. Un calciatore può essere cacciato dal campo per una serie infinita di ragioni, ma quando il cartellino rosso viene sventolato in faccia a un tecnico, la motivazione è sempre la stessa: la protesta.
Ciò significa che nel turno di appena concluso, ben 4 allenatori hanno manifestato così veementemente contro il direttore di gara da costringere quest'ultimo a espellerli. Anzi, va fatta una precisazione. Se Gasperini, Mourinho e Inzaghi si sono resi protagonisti di polemiche più o meno plateali, diverso è il discorso per Spalletti. Al termine della sfida con la Roma, il tecnico del Napoli si era avvicinato da Davide Massa per complimentarsi della sua direzione.
Il fischietto della sezione di Imperia deve aver frainteso le sue parole, considerandole ironiche, e ha scelto di tirare fuori il rosso a partita finita.
Quest'ultima incomprensione rispecchia la mancanza di fiducia che da anni segna il rapporto tra allenatori o giocatori con i direttori di gara. Ogni decisione di un arbitro diviene sempre oggetto di proteste, quindi a Massa non dev'essere sembrato vero che i complimenti di Spalletti fossero sinceri, era una cosa mai vista su un campo di Serie A.
Ma in quest'eterna faida, di chi è la colpa: dell'arbitro che gestisce male una gara o del tecnico che non è mai soddisfatto? Probabilmente entrambe le cose. Infatti, un allenatore spinge inconsapevolmente per un arbitraggio che penda dalla sua parte, per una rimessa dubbia che venga assegnata alla sua squadra, per un rigore fischiato a favore o non fischiato contro. E questo non si potrà mai risolvere.
L'aspetto sul quale mi vorrei soffermare è proprio la direzione di gara da parte dei fischietti. Nell'ultimo periodo, i vertici della categoria arbitrale hanno cercato di stroncare alla radice ogni polemica esasperando la componente tecnologica nei diversi stadi. L'introduzione del VAR aveva l'obiettivo di dirimere ogni protesta contando sulla revisione in differita degli episodi dubbi, ma la mancanza di un protocollo applicativo ben definito ha permesso ai diversi arbitri di usare la moviola in maniera discrezionale.
In altre parole, il direttore di gara più orgoglioso non avrà l'umiltà di ammettere di non aver ben interpretato un azione e non si servirà del VAR; al contrario uno più timoroso deciderà di interpellarlo per scaricargli ogni responsabilità. Purtroppo, il fattore umano dell'arbitro non si può digitalizzare e rimarrà sempre presente su un campo da calcio.
Ciò che si può cambiare è però il principio che regola il ricorso al VAR. Finché saranno gli stessi incaricati alla moviola a richiamare il fischietto alla revisione, l'uso rimarrà arbitrario. Sarebbe più facile dare questa possibilità agli allenatori: qualora un tecnico non fosse contento di una decisione, potrebbe chiedere all'arbitro di andare a rivedere l'azione. Magari si potrebbe fare come nel tennis o nella pallavolo, con 2/3 chiamate a partita ad allenatore.
Il VAR non è però l'unico oggetto di discordia nel nostro campionato. Un dato interessante riguarda la frequenza con la quale gli arbitri di Serie A fischiano falli. Secondo i trend degli ultimi, una partita del nostro campionato viene fermata ogni 105 secondi, per una media di 32 falli ogni 90 minuti. Praticamente, ogni volta che un giocatore cade, il direttore di gara fischia.
Dato che, come abbiamo detto prima, gli arbitri non sono tutti uguali, ci sarà quello che dà sempre il fallo e quello che invece lascia correre. La mancanza di un metro di giudizio univoco conduce inesorabilmente a polemiche e spesso episodi simili vengono interpretati differentemente a seconda del fischietto incaricato.
C'è bisogno di un segnale chiaro e inequivocabile da parte dell'AIA che deve smettere di legittimare le decisioni dei suoi arbitri per assumere invece una linea di comportamento il più possibile omogenea, magari vicina al laissez faire dei direttori di gara internazionali.
Segui 90min su Instagram.