Perché è utopia immaginare che Commisso investa sul restyling del Franchi
Rocco Commisso è tornato in Italia, il patron viola si appresta a seguire da vicino le sorti della Fiorentina in un momento cruciale della stagione e della recente storia del club, a partire dalla semifinale di ritorno di Coppa Italia in programma stasera contro la Cremonese. Accanto ai risultati sportivi ed all'urgenza delle cose di campo, però, non mancano aspetti altrettanto cruciali come quelli connessi allo stadio Artemio Franchi.
Se il discorso concessione non preoccupa, secondo il Corriere Fiorentino i dettagli sono stati limati e i viola pagheranno circa 650mila euro, ciò che attira ovviamente l'attenzione è il discorso del restyling del Franchi. La rinuncia forzata ai 55 milioni di euro inizialmente previsti dai fondi europei del PNRR (per i Piani Urbani Integrati) spinge il sindaco Nardella a cercare vie alternative per portare a termine il progetto di Arup.
I tre scenari citati oggi da Repubblica sono quelli di fatto già ipotizzati ieri: seguire l'input di Giani e "ridimensionare" il progetto per renderlo fattibile coi 130 milioni statali (già assegnati), cercare nuovi partner economici e nuovi investitori o, infine, provare a convincere Rocco Commisso a entrare nel discorso in modo diretto, con un investimento che vada a coprire quei 55 milioni di euro. Ipotesi certo intrigante, sulla carta, ma verosimilmente utopistica e lontana dal rivelarsi percorribile. Perché è utopia immaginare uno scenario simile?
Libertà dai vincoli della politica
Innanzitutto Commisso ha sempre fatto intendere di rivendicare una totale libertà di azione, quando sceglie di investire, senza doversi attenere a criteri e confini stabiliti da altri e senza sottostare a logiche diverse dall'interesse del club e delle proprie aziende. L'idea iniziale del patron viola, del resto, era quella di realizzare un nuovo stadio di proprietà e di non doversi affidare all'idea di un restyling: il Franchi, per Commisso, poteva essere interessante come progetto a fronte di interventi più sostanziosi, con l'abbattimento delle curve e non con un mero ammodernamento.
I vincoli della sovrintendenza, in questo senso, hanno rappresentato per il presidente gigliato un aspetto ostico con cui misurarsi, un ostacolo che non è tramontato e che - dunque - continuerebbe a togliere a Commisso quella libertà tanto auspicata. Il numero uno di Mediacom si è poi sempre smarcato da "giochi" politici, dagli interessi delle varie amministrazioni locali o da logiche espresse dal partito di turno.
Anche in questo senso, dunque, l'auspicio è sempre stato quello di poter agire (per quanto possibile) in modo autonomo, difendendo i propri interessi (come Fiorentina) e non diventando vittima delle circostanze. Non sono mancate, del resto, situazioni in cui la proprietà viola è rimasta già scottata: il caso Mercafir, a tal proposito, ha già detto tanto e rappresenta un precedente poco incoraggiante.
Un'immagine da tutelare e il tema Viola Park
C'è poi un tema di immagine con cui fare i conti: Commisso ha sempre ribadito la volontà di voler prendere le distanze dall'idea di essere "l'americano ricco" a cui spillare denaro, pronto a elargire finanziamenti a cascata su progetti decisi e intrapresi da altri: difficile, dunque, che adesso possa essere tirato dentro a un progetto per sostituire fondi europei non arrivati, come mera "ruota di scorta" (perlomeno a livello mediatico).
Infine, ultimo ma non ultimo, il tema del Viola Park: Commisso ha già investito circa 100 milioni di euro per un centro sportivo che si prospetta come fiore all'occhiello del mondo gigliato e persino del calcio italiano in senso più ampio. Investimenti lievitati nel tempo che non possono certo essere dimenticati o sottovalutati: non appare logico, ora, figurarsi un nuovo contributo per un progetto pianificato in altre sedi, in cui il patron avrebbe di fatto le mani legate (anche al di là di possibili accordi futuri sulla concessione dello stadio).