Perché i tanti minuti di recupero sono così impopolari?
Alla vigilia del Mondiale qatariota attualmente in corso l'attenzione era puntata, ragionevolmente, su ciò che il campo avrebbe di lì a poco espresso: le liste dei convocati dei vari CT, le qualità e i punti deboli delle Nazionali, i potenziali protagonisti o le possibili sorprese nei gironi del Mondiale.
Eppure, proprio a proposito di sorprese, c'è un aspetto che più di altri (anche in modo maggiore rispetto alle giocate più pregevoli) ha lasciato spiazzati tifosi e addetti ai lavori: la durata senza precedenti dei minuti di recupero, con partite che hanno visto talvolta sfiorare i 20 minuti aggiuntivi tra primo e secondo tempo (con Inghilterra-Iran come "manifesto" di questo nuovo input).
Un input preso alla lettera
Un cambio di rotta arrivato del resto dall'alto, da una presa di posizione di Collina in quanto presidente del comitato arbitri FIFA: il recupero non deve più essere vissuto come un discorso formale, indicativo, ma come una vera e propria compensazione rispetto al tempo effettivamente "sprecato". Probabilmente Collina non immaginava un accoglimento così totale di un simile input ma, d'altro canto, è vero che una simile soluzione permetta di avvicinare concettualmente quella chimera (spesso citata da tanti allenatori) chiamata "tempo effettivo di gioco".
Non, dunque, la scelta di fermare il cronometro a gioco fermo ma, come stiamo vedendo, la volontà di recuperare davvero il minutaggio perso per strada tra infortuni, sostituzioni, gol e cartellini, oltre che alle fisiologiche perdite di tempo che tratteggiano le fasi finali di ogni match, da che mondo è mondo. Facendone una questione di principio, dunque, diventa evidente un presupposto logico rispettabile dietro a tale cambio di politica, un parametro logico che non trova però consensi diffusi o un pieno accoglimento anche a livello mediatico.
Soluzione giusta ma impopolare?
Qual è il motivo di un simile distacco tra principio ed effetto? Principalmente il discorso è di tipo qualitativo: si ritiene cioè che, pur con tanti minuti di recupero, quando la partita si avvicina agli sgoccioli (cioè nel corso dell'extra time) le squadre continuino comunque a temporeggiare, rendendo dunque il recupero assegnato come una mera utopia. Il tempo si allunga, dunque, ma non si arriva mai a un recupero vero e sostanziale del tempo perso nei 90 minuti.
Esiste poi un discorso più ad ampio raggio, connesso anche a certe criticità individuate nel sistema calcio, con riferimento ad esempio alle istanze della Superlega: il calcio, secondo tale presupposto, dovrebbe farsi sempre più spettacolare e dinamico, senza potersi quindi tempi morti o partite di durata ben superiore ai 100 minuti.
Appare dunque paradossale (agli occhi di chi critica su queste basi) aggrapparsi ai minuti di recupero come garanzia di giustizia in momento in cui, di fatto, il pallone cerca di ingraziarsi un target sempre più "distratto" e orientato alla multimedialità (più che all'attenzione duratura sul campo).