Perché il concetto di corto muso introdotto da Allegri è stato frainteso?
Come può un concetto divenuto di uso comune, una metafora efficace e diretta, tramutarsi in qualcosa di radicalmente diverso, tanto da tornare al legittimo proprietario e da essere poi "rinnegato" platealmente dallo stesso? Come le canzoni o le opere d'arte, in linea generale, anche i singoli concetti - in una sorta di gioco del telefono all'ennesima potenzia - finiscono potenzialmente per deformarsi, per diventare buoni per tutte le stagioni, per perdere il loro senso originario e approdare su un livello differente (livello mai legittimato da chi quel concetto lo aveva espresso).
Chi ascolta una canzone ne fa proprio in senso, dunque, e chi ripete un concetto (più o meno superficialmente) ne reinventa il significato e lo riadatta a ciò che intende dimostrare. Lo stiamo vedendo in modo lampante grazie a quanto accaduto nel post-partita di Juventus-Nantes, con Massimiliano Allegri pronto a rispondere in modo piccato a chi stava fraintendendo il concetto dell'ormai iconico "corto muso".
Come nasce il concetto di corto muso?
Si tratta sostanzialmente di un corto circuito comunicativo e dall'utilizzo di quella stessa espressione in un senso differente rispetto all'intento originario, rispetto alle idee del suo autore. Allegri ricorse alla metafora ippica, attingendo alle proprie passioni extracalcistiche, in una conferenza stampa successiva alla sconfitta contro la SPAL. Il tecnico della Juventus, in sostanza, applicò il concetto di corto muso alle vittorie ottenute nel calcio: non conta il distacco tra primo e secondo, insomma, ma conta soltanto quella fotografia, il fotogramma in cui si dimostra chi è primo e chi secondo. Chi ha vinto e chi ha perso, banalmente.
Un po' come il fotofinish nel ciclismo: che tu abbia guadagnato più o meno secondi sull'avversario, alla fine, si ottiene comunque un primo o un secondo posto, senza spazio per ambiguità o vie di mezzo. Un concetto ovvio, per certi versi, ma che racconta in modo efficace e onesto il pragmatismo di Allegri e un realismo che non cede al richiamo di guru ed esteti: nella memoria e nell'albo d'oro restano la vittoria o la sconfitta, non resta tanto (o resta solo in minima parte) il modo in cui si è arrivati a quel risultato specifico.
Perché è stato frainteso il concetto di corto muso?
Perché, dunque, un concetto apparentemente ovvio è stato stravolto e frainteso? Si tratta probabilmente della tendenza (pretestuosa oppure involontaria) a riadattare quello stesso discorso e a portarlo su un piano differente, quello della sterile diatriba tra giochisti e risultatisti. Allegri viene dunque iscritto alla seconda categoria, estremizzando il concetto di corto muso e portandolo all'iperbole: siccome il risultato è ciò che resta, siccome quella fotografia è quello che conta, diventa preferibile sforzarsi il meno possibile per ottenere la vittoria.
Un'associazione d'idee deliberata e fin troppo audace, una libera interpretazione tale da irritare (ragionevolmente) l'autore originario della metafora. Nel pensiero di Allegri è probabilmente pretestuoso vivere risultato e spettacolo come entità separate, vivere estetica e pragmatismo come termini distanti tra loro: spettacolo ed estetica possono diventare mezzi come altri per arrivare a quella fotografia (intesa come sintesi perfetta), vivere per lo show diventerebbe il tradimento concettuale di quel che la narrazione del calcio ci ha sempre proposto. E non è certo Allegri ad esserselo inventato.