Perché Josip Ilicic viene chiamato "La Nonna"?
Da qualche parte del mondo ci sarà uno scienziato sveglio nel cuore della notte. Lo immaginiamo mentre, avvolto dall'oscurità del suo laboratorio, è ricurvo sulla scrivania. Il progetto a cui sta dedicando anima e corpo è quasi ultimato, mancano solo gli ultimi aggiustamenti.
Finalmente, dopo aver armeggiato con strane sostanze, trova il giusto intruglio da somministrare alla sua cavia. Disteso sul tavolo da lavoro c'è infatti un uomo, un marcantonio tutto muscoli alto almeno due metri. Ha una lunga chioma bionda, degli addominali scolpiti e indossa... delle Nike Mercurial Vapor 14.
Dopo avergli iniettato il miscuglio, lo scienziato rimane esterrefatto nel vedere il colosso alzarsi in maniera imponente, guardarsi intorno e dirigersi verso un pallone che era in un angolo del laboratorio. Prende la sfera e inizia a palleggiare. Uno, due, tre palleggi. L'occhio è fermo sulla palla, non accenna un minimo segno di difficoltà. Arrivato a un numero considerevole di tocchi, il gigante la scaglia con forza sul muro, lasciando un buco. L'inventore esclama entusiasta: "Ce l'ho fatta! Ho creato il calciatore perfetto!".
Inutile dirvi che un prodigio del genere, una specie di macchina dalle sembianze umane, trova subito una squadra di Serie A pronta a ingaggiarlo e, dopo appena un paio di giorni di allenamenti con i compagni, l'allenatore decide di mandarlo in campo già dal 1'. La partita d'esordio si tiene al Gewiss Stadium, contro l'Atalanta.
La squadra del nostro cyborg-calciatore non è di prima fascia e in tempi normali tutti avrebbero pronosticato una netta vittoria della Dea. Tuttavia, con lui in squadra le cose sono cambiate. I tifosi, speranzosi di vedere valanghe di gol da parte del loro nuovo fenomeno, percorrono centinaia di chilometri, riempiendo l'intero settore degli ospiti.
Vista la versatilità dell'umanoide, il tecnico lo schiera a centrocampo, confidando che in quella posizione possa sia dare una mano alla difesa sia dire la sua in fase offensiva.
A doversi occupare della marcatura di questo portento dell'antropotecnica è - in maniera decisamente paradossale - un giocatore alto e magro, uno che ha gli occhi spenti e l'aria costantemente stanca, sembra quasi che già per essere sceso dal letto abbia fatto un favore a qualcuno.
La partita inizia e l'Atalanta va in svantaggio dopo appena 3'. Il gol, naturalmente, lo segna il robot-calciatore. Passano pochi minuti e arriva perfino la doppietta. Si prospetta un pomeriggio infernale non solo per la Dea, ma anche per il resto delle squadre di Serie A che d'ora in poi dovranno fare i conti con un giocatore decisamente fuori dalla loro portata.
Ma i ragazzi di Gasperini non gettano di certo la spugnano di fronte alla prima difficoltà e provano a recuperare lo 0-2. L'azione dei bergamaschi si sviluppa sulla sinistra e la palla finisce sui piedi di quell'attaccante smunto. Ovviamente non ha fatto nessun movimento, ha chiesto un semplice passaggio sui piedi. Di fronte a lui c'è quel titano imponente che guarda il pallone con uno sguardo freddo e asettico, desideroso di riappropriarsene.
Negli occhi del 72 atalantino si accende improvvisamente qualcosa, è come se un demonio si fosse impossessato di lui. Inizia ad accarezzare la palla con la suola e sembra volersela allungare per prendere il fondo e crossare. All'ultimo momento, con una magistrale finta di corpo, va nelle direzione opposta e, dopo essersi accentrato, va dritto verso la porta avversaria. Dal limite fa partire un sinistro a giro che si insacca sotto il sette: è 1-2.
Nonostante lo svantaggio, i calciatori dell'Atalanta hanno un'aria sicura. Forse sanno che quando Josip Ilicic si accende, non ce n'è per nessuno. Infatti, verso la fine del primo tempo, viene servito a metà campo spalle alla porta; si gira e punta ancora una volta il cyborg che ha i piedi ben saldi sul terreno, sembra impossibile da superare. E invece lo salta come se nulla fosse, come se non gli importasse del mismatch tecnico e fisico, lui l'ha saltato e basta. Arrivato davanti al portiere, non ha problemi nel segnare con un tiro rasoterra a giro, sempre di sinistro.
Nella ripresa le due squadre danno vita a una sfida tiratissima, si lotta su ogni pallone. Il tecnico degli ospiti vuole uscire dal Gewiss Stadium almeno con un punto, così decide di arretrare il robot-calciatore in difesa. Mancano ormai 3' alla fine e Ilicic si invola verso l'area con il suo solito passo lento ma implacabile. Arrivato a tu per tu con quell'agglomerato di muscoli con i calzettoni perfettamente tirati su, lo sloveno riesce a farsi fare fallo e su punizione arriva il gol che chiude definitivamente la rimonta.
A fine partita, l'umanoide non ha alcun segno di stanchezza, la sua maglia è ancora fresca, i capelli ancora raccolti e ordinati. Tuttavia, collassa al suolo perché il suo cervello non ha retto alle umiliazioni subite da un uomo così insignificante. Dal canto suo, Ilicic è sfinito, non va nemmeno a festeggiare la vittoria con i compagni; anzi, chiede aiuto allo staff medico bergamasco per risolvere alcuni problemini fisici. La perfezione non è sempre sinonimo di successo.
Inutile girarci intorno, il calcio sta diventando sempre più qualcosa di perfettibile, i club ingaggiano esperti, match analysts, data analysts e ogni tipo di tecnico in grado di assottigliare il margine d'errore dei calciatori. In uno sport che intende correre a mille all'ora, Josip Ilicic rimane fermo e la sua stasi è un segno di protesta, di eroica resistenza in nome di un calcio meno impeccabile, ma più vero.
Il soprannome La Nonna gliel'hanno affibbiato i suoi compagni all'Atalanta perché ogni volta che gli si chiede come stia, Ilicic afferma sempre di avere qualche problema, di non sentirsi bene. A volte in campo mostra una certa indolenza, poi però quando si sveglia è uno dei funamboli più affascinanti d'Europa.
È impossibile non voler bene alle nonne. Sebbene siano così poco al passo coi tempi, il modo in cui fanno le cose ha sempre un significato più profondo. Secondo lo stesso ragionamento, vedendo Ilicic saltare un difensore, si ha la netta sensazione che viva per fare quello, che sia una delle poche cose che davvero gli regala gioie nella vita.
Nel calcio di oggi non puoi permetterti debolezze, momenti di incertezza. Invece Ilicic ha fatto della sua fragilità la propria arma, dimostrando che un gioco lento e riflessivo ma per questo non meno spettacolare è ancora possibile.
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