Perché la Fiorentina non può sentirsi davvero più forte senza Vlahovic
Alla vigilia dell'addio di Dusan Vlahovic alla Fiorentina, così come immediatamente a posteriori, risultava una profezia fin troppo facile quella, certo infausta, relativa a un contraccolpo fisiologico per gli uomini di Vincenzo Italiano: perdere il bomber della squadra, assoluto accentratore della potenza realizzativa gigliata, poteva apparire come un marchio inesorabile di ambizioni ridimensionate, di sogni europei destinati a raffreddarsi.
Una profezia facile sulla carta che, proprio alla stregua di ogni previsione avventata, si sta scontrando con una realtà diversa: i risultati premiano ancora i viola e, se di involuzione si può parlare, è possibile farlo più osservando il serbo, i suoi numeri nelle ultime uscite con la Juve, che non valutando la stessa Fiorentina e la sua reazione al più pesante degli addii.
Viola più forti senza Vlahovic, dunque? Tra gli addetti ai lavori non manca chi, oggi, sottolinea con favore le dinamiche interne alla squadra di Italiano nel dopo-Vlahovic ma, a conti fatti, una Fiorentina priva del serbo non può che risultare, in assoluto e almeno a stretto giro, meno competitiva. Anche al di là del conforto dei punti.
Il peso dei numeri
Non è così infondato riflettere su quanto Vlahovic abbia perso a livello di rendimento rispetto a quel che hanno invece perso i viola in termini di identità, di gioco e di risultati: la media gol del serbo, del resto, in maglia bianconera ha assunto contorni meno eclatanti, passando da una rete ogni 109 minuti (quelle siglate in viola) a un gol ogni 158 (agli ordini di Allegri).
Al contempo, dal punto di vista viola, dopo l'addio del centravanti classe 2000 è rimasto intanto il conforto dei risultati: la rincorsa all'Europa resta alla portata, al netto di una sfida ancora da recuperare, e nello specifico (senza Vlahovic) la squadra ha ottenuto 4 vittorie, 3 pareggi e 2 sconfitte, un totale di 15 punti in 9 partite giocate senza il serbo al centro dell'attacco ma con Piatek e, in minor misura, con Cabral. La media punti è rimasta di 1,66 a partita, senza dunque oscillazioni negative affini a quelle immaginate a priori, pur senza entrare nel merito delle avversarie incontrate dai viola nel post-Vlahovic.
Un altro dato eclatante però, aspetto che fa da contraltare a quello appena sottolineato, riguarda la differente natura dei successi (e dei pareggi) ottenuti dagli uomini di Italiano: le vittorie ottenute sono arrivate di misura, tutte, e di fatto la squadra non è mai riuscita a mettere in cassaforte il risultato e a vivere serenamente i finali di partita (come si è visto anche nel fortino del Franchi contro Bologna ed Empoli).
Partite da chiudere
La maggiore solidità difensiva assunta ai viola, anche grazie alla coppia Milenkovic-Igor e al contributo "totale" di Torreira, trova un contraltare infelice nella difficoltà palese nel concretizzare quanto creato e nel trovare il cinismo necessario.
Non si tratta soltanto di valutare l'impatto di Piatek e di Cabral, sarebbe parziale limitarsi alle loro capacità sotto porta, ma di capire quanto l'assenza di Vlahovic abbia pesato al momento di ottimizzare le occasioni create.
I meccanismi e le strade percorse sono rimasti affini a quelli dell'era-Vlahovic, senza stravolgere un'identità e senza perdere brillantezza, ma è evidente come gli esterni d'attacco e le mezzali non abbiano saputo valorizzare il patrimonio di occasioni, la mole di gioco prodotta. In questo senso diviene forzato e persino pretestuoso esaltare solo i lati più virtuosi di una Fiorentina priva del suo ex centravanti.
Oltre alle reti c'è di più
A lato del discorso realizzativo, della formidabile concretezza sotto porta, esiste un fattore altrettanto degno di attenzione, peraltro già immaginato anche a priori quando ci si provava a figurare una Fiorentina orfana di Vlahovic.
Il lavoro del serbo non è paragonabile a ciò che, almeno ad oggi, si sta rivelando nelle corde di Piatek e di Cabral: il polacco ha avuto un buon impatto, confermandosi cinico e reattivo dalle parti del portiere avversario, ma è evidente come il dialogo coi compagni non possa essere altrettanto armonioso e naturale rispetto a quanto accadeva col serbo in campo.
Cabral, dal canto proprio, ha dimostrato - anche con l'Empoli come titolare - di non temere alcun confronto a livello di carica agonistica e di generosità, palesando però al contempo tutte le differenze del caso rispetto a un Vlahovic che, almeno nel suo periodo in viola, sapeva vestire talvolta i panni del rifinitore o del regista offensivo, prima di lanciarsi in verticale e di sfruttare cross e assist dei compagni.
I risultati portano entusiasmo e aiutano a mantenere accesi i sogni, al contempo non possono oscurare ciò che cambia: non è un mistero né un caso, del resto, che i movimenti di mercato di Pradè e Burdisso contemplino ancora l'idea di un rinforzo al centro dell'attacco per la stagione 2022/23.
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