Perché Sergio Aguero viene chiamato El Kun?
Oggi è arrivata l'ufficialità di una notizia già nell'aria da tempo, fin dagli esami successivi al malore accusato contro l'Alaves: Sergio Aguero ha posto fine alla carriera da calciatore, un'avventura partita dall'Independiente, con un esordio tra i grandi ad appena 15 anni, e condotta poi con successo tra Liga e Premier League, a suon di gol e di record, con un palmares prestigioso soprattutto pensando agli anni vissuti al Manchester City.
Ed è raro, pur in un contesto ricco di nomignoli e appellativi quantomeno curiosi, che un calciatore e il suo soprannome finiscano per fondersi in maniera così salda: Aguero è per tutti El Kun, fin da piccolo, come un marchio di fabbrica tale da percorrere, accanto al giocatore, un'intera carriera e soprattutto un'intera vita. Un soprannome che per questo merita, più di altri, di essere esplorato nelle sue ragioni di esistere, indagato in ciò che lo portò a nascere.
Più di un soprannome
Non si tratta insomma di un soprannome qualsiasi, di un appellativo connesso a un gesto tecnico in particolare o a una caratteristica del suo repertorio, neanche di un nomignolo già sentito, inflazionato, appiccicato come un'etichetta un po' forzata al campioncino di turno. Non sarebbe neanche insolito, pensando al contesto argentino, sempre così prodigo di appellativi o di nomi d'arte accostati a ciò che l'anagrafe, più prosaicamente, stabilì a suo tempo.
Il peso specifico del soprannome Kun risiede proprio nel suo valore che trascende lo sport e la vita da calciatore professionista, un valore che proprio nel giorno del ritiro ufficiale dal calcio giocato assume un senso ancor più profondo: Aguero stesso, con le sue parole di addio al calcio, è tornato a soffermarsi sugli inizi, ancor prima di diventare un calciatore professionista, è tornato a emozionarsi ripercorrendo le giornate di un bimbo di Buenos Aires che sognava di diventare un giocatore di Primera Division, senza ancora spazio per l'idea di un approdo in Europa, per la gloria di Manchester o per un finale (ora dal gusto amaro) con la maglia del Barcellona.
Proprio quelle giornate, quelle che vengono prima di tutto, al di fuori di una carriera di successo, vedevano Sergio bambino rapito dalla TV e dai cartoni animati giapponesi, un tratto che certo (nei percorsi della memoria) accomuna tanti di noi, assumendo un sapore speciale. Un rapimento tale che condusse il nonno, e anche qui si percorrono figure fondamentali nell'infanzia di ognuno, a notare una somiglianza tra il nipotino e il piccolo protagonista di un cartone di fronte al quale Sergio passava le ore, divertito.
Kum Kum il cavernicolo
Il cartone in questione è Kum Kum il cavernicolo, anime datato 1975 composto da 26 episodi, un cartone animato che (come tanti di quel periodo) fece il giro del mondo, andando ad allietare i momenti di bambini che parlano lingue diverse, che popolano contesti lontani, diversi tra loro. Un bambino pestifero che, in un fantasioso universo in cui uomini e dinosauri si trovano a coesistere, passava la vita tra scorribande con gli amici e il fratellino in mezzo alla natura, correndo tra ruscelli e caverne, combinandone sempre una.
Un carattere incontenibile e una chioma castana, aspetti che tratteggiavano il piccolo protagonista, che condussero il nonno di Aguero a trovare una chiara innegabile somiglianza. Piccoli giochi d'infanzia, attimi spensierati in famiglia, che si tradussero così in qualcosa di più grande del previsto, in un nome che sarebbe poi finito al centro dei riflettori, come timbro sul talento e sul successo di un campione, dalle scorribande infantili fino ai trionfi europei.
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