Perché Vlahovic non potrà diventare il nuovo Ibrahimovic
L'incrocio tra Fiorentina e Milan ha offerto diversi spunti d'interesse, lo scontro tra due mostri sacri come Zlatan Ibrahimovic e Franck Ribery su tutti, ma tra i vari protagonisti sul campo del Franchi c'era chi regalava allo svedese del Milan sguardi più attenti e concentrati degli altri: il viola Dusan Vlahovic. Lo stesso classe 2000 ha talvolta ironizzato sulla propria passione per Ibra, su Twitter arrivò persino a scrivere: "Trovate qualcuno che vi guardi come io guardo Zlatan".
Il fatto stesso che un accostamento simile non suoni come blasfemo è un traguardo, significa che davvero s'intravede qualcosa di importante nell'attaccante di Belgrado che, anagraficamente, potrebbe essere il figlio di Ibra, considerando i 18 anni di differenza. Certo è che, quando un campione concede gli ultimi sprazzi di magia sul campo, tutti impugnano il lanternino e si mettono a girare, per trovare lui, l'eletto, l'erede designato. Nel caso di Vlahovic non sono mancati neanche pareri autorevoli che, in qualche modo, assecondavano quella pazza idea: Boateng ad esempio, nel suo breve periodo in viola, ha accostato esplicitamente il giovane serbo e l'esperto svedese, che lui conosce bene. Il titolo qui vuole essere provocatorio: è chiaro che esista un filo conduttore tra il campione già arrivato e l'astro nascente finalmente giunto a maturità, che dal campione trae ispirazione.
La stazza c'è, ci sono la capacità di controllare il pallone e di saltare l'uomo atipiche per attaccanti che superano il metro e novanta, c'è già la capacità di capire il gioco e di mettere i compagni nelle migliori condizioni (l'assist per Ribery proprio contro il Milan dice tanto in tal senso). Perché, dunque, non è possibile immaginare Dusan Vlahovic come il prossimo Ibrahimovic? Per due problematiche principali che stanno alle fondamenta, due questioni inaggirabili. Una riguarda un discorso cronologico, Vlahovic è un figlio perfetto di questo calcio: non è forse quella macchina perfetta che condizionerà il ruolo dell'attaccante nel futuro, come Haaland, ma è immerso nel calcio e nel mondo di oggi, utilizza abbondantemente i social, non racconta storie di riscatto e di rivalsa così forti come quelle che fanno parte del DNA del suo idolo Ibra.
E proprio per questo, volendo somigliare a Ibra, potrà solo prenderne alcune movenze, alcuni atteggiamenti, ma non potrà giocoforza rappresentarne l'erede diretto: e, sia chiaro, non sarà mai una colpa o un difetto. La questione resterà per certi versi "estetica" ma non sostanziale. Un'altra faccenda riguarda il modo di stare in campo e, di fatto, l'unicità di Ibra in tal senso: il suo saper incarnare l'idea di bomber quando si tratta di segnare ma anche altro, quando si tratta di inventare. L'invenzione, intesa come il passaggio giusto al momento giusto e la visione di gioco, può essere senz'altro nelle corde di Vlahovic ma, nel caso del rossonero, la questione parte da lontano e si spiega con la capacità di immaginare la giocata "assurda", di colpire il pallone con ogni parte del corpo, da ogni lato dell'area e da ogni distanza. Un discorso atletico, senz'altro, connesso anche al taekwondo. Potremmo poi individuare altri aspetti complessi da aggirare, uno su tutti la capacità di imporsi da subito in un club storico come l'Ajax palesata da Ibra nei primi anni 2000 rispetto a una partenza più "morbida" da parte del giovane serbo, partito gradualmente dalla Primavera gigliata prima di macinare minuti e gol in Serie A.
L'impossibilità di "diventare Ibra" però non dovrà mai essere un limite per il classe 2000 viola, ormai in rampa di lancio e accostato a club di primo piano oltre che a un rinnovo importante con la Fiorentina: solo trovando la propria unicità, il proprio tratto inimitabile, tra 20 anni potrà esserci qualcuno che dirà: "Trovate qualcuno che vi guardi come io guardo...Dusan".
Segui 90min su Facebook, Instagram e Telegram per restare aggiornato sulle ultime news dal mondo della Serie A.