Ribaltamento Capitale, il derby dei paradossi: guardare il nemico e vedere un po' di sé
Certe associazioni di nomi o di idee suonano più armoniose e azzeccate di altre, ci sono profili che per questioni di sostanza oppure per più superficiali impressioni risultano tagliati su misura per una piazza, affinità che sembrano naturali e che solo il tempo separava dalla realizzazione concreta. Le squadre del resto, i club in senso più ampio, hanno un'identità e, come fossero persone, agli occhi di chi gradualmente le conosce hanno un carattere, dei segni particolari e un'anima, proprio come le persone, proprio come gli allenatori.
E per questo, del resto, ci si sofferma tanto (sempre di più) su quei piccoli o grandi vezzi che di fatto rappresentano un marchio di fabbrica per un allenatore: c'è quello che allena in tuta, quello seduto per novanta minuti come se pensasse alle vacanze da prenotare o ai lavori da fare a casa, quello che si dimena e corre avanti e indietro come un forsennato, proverbiale leone in gabbia, o quello che protesta e piange per ogni fallo laterale. Al contempo ci sono club più arrembanti, altri più istituzionali, società storicamente tese verso l'estetica anziché verso il risultato come fine da perseguire al di là dei mezzi, combinazioni infinite come infinite sono le combinazioni dei caratteri umani.
Questi giorni di tempesta e di novità, pensando alle big del nostro calcio, sanciscono anche qualche corto circuito in tal senso ed ecco che, con la Capitale come emblema delle svolte inattese, le due facce della Roma calcistica potrebbero regalare una sfida fatta di paradossi, un gioco di specchi a dir poco inatteso fino a poche settimane fa. Un ribaltamento totale di prospettive partito con l'approdo di José Mourinho sulla panchina della Roma: un tecnico che, ripensando ai vincenti trascorsi italiani alla guida dell'Inter, non poteva certo apparire sulla carta come affine o in qualche modo connesso amichevolmente al mondo giallorosso. Dall'altra parte della Capitale, invece, non mancavano estimatori di vecchia data: e gli attestati positivi dalla sponda biancoceleste abbondavano del resto negli anni che vedevano trionfare in Serie A lo stesso Special One. Un idillio celebrato a discapito proprio di quella Roma adesso pronta ad abbracciare il portoghese e a farne il proprio condottiero, scordando i momenti in cui rappresentava il nemico (sportivo e pure mediatico, come insegna la faccenda degli "zero tituli" tirata in ballo nel novembre 2009 dal portoghese).
Un discorso meno marcato e lampante, in assenza di ricordi legati a scontri diretti turbolenti e velenosi, ma altrettanto valido pensando anche al possibile binomio Maurizio Sarri-Lazio: l'ex tecnico di Napoli e Juventus andrebbe a comporre con Lotito una strana coppia, due profili forti a livello mediatico e perfettamente riconoscibili, tratteggiati in toni però diversi tra loro, per certi versi opposti. La questione meramente "politica" la si aggira forse con facilità, pensando alla disillusione e al distacco mostrati dal Sarri più recente, ma balza alla mente quel suo immaginario fatto di fumo, imprecazioni e insofferenza per certe ritualità del pallone, un mondo smaccatamente anti-sistema che a priori si combina male con quello di Lotito. Un distacco che potrebbe anche amplificarsi riflettendo sulla discontinuità rispetto al suo predecessore Simone Inzaghi, in caso di arrivo alla Lazio: dal 3-5-2 ormai rodato e stabilizzato nel corso degli anni al ritorno alla difesa a quattro e a principi di gioco diversi.
E proiettarsi già sul derby diventa ancor più stimolante ricordando come, di fatto, prima dell'arrivo di Mourinho alla Roma fosse proprio Sarri il candidato principale per sostituire Fonseca: un ingrediente che dà ulteriore sapore alla sfida che si prospetta, una sfida in cui identità e principi si confondono, in cui il nemico diventa il tuo stesso leader e che, guardando dall'altra parte della barricata, permette di vedere (sorprendendosi) anche un pezzo di sé.