Roberto Baggio: "Niente contro la Juve ma volevo restare alla Fiorentina. SuperLega, Messi, USA 94: dico tutto"
Torna a parlare Roberto Baggio. L'indimenticato numero 10 di Fiorentina, Juventus, Milan, Inter e della Nazionale, ha concesso una lunga intervista a Revista Libero, parlando di tanti argomenti: dal rigore sbagliato nel Mondiale del 1994 all'attualità: "Il calcio ti dà sempre una nuova opportunità. È la vita stessa. Nella mia famiglia ci è stato insegnato cosa significa la parola sacrificio, lavoro, fatica quotidiana. La mia terra (Vicenza), la mia gente è così, mi ha ispirato molto per il giorno per giorno. Ho imparato a reagire, a riprendermi... La passione ti riporta in campo per correre, giocare o giocare. Estrapolato alla vita è guardare sempre avanti, anche in questi momenti bui che stiamo vivendo. Un sorriso dei tuoi figli, un gesto di un amico. Queste piccole cose rialzano l'anima e la aiutano a ricominciare".
Il rigore a USA 94?
"Alla fine sei tu che decidi cosa ti succede e se c'è spazio o meno per il vittimismo. Nel mio caso di solito non sono prigioniero di lamentele, cosa che è anche inutile... E questo vale per il famoso rigore. Lì ti chiedi, perché io? Perché devo soffrire così tanto? In quei momenti il mondo rimane immobile, sembra che il tempo non passi mai e che rimanga nella memoria quel segno indelebile, quella ferita che sembra non guarire mai. Invece siamo qui, ancora a parlare 27 anni dopo. Vi dirò una cosa: porterò sempre il dolore con me dentro, ma ho dimostrato la capacità di rialzarmi sia come uomo che come calciatore. Ero convinto a segnare, mi è sempre piaciuto assumermi le responsabilità. Fa parte del gioco ma dagli undici metri ci sono regole diverse. Ho sempre tirato i rigori, fin da quando ero un bambino. Non ho mai avuto paura di quella sfida con il portiere, in questo caso con Taffarel. È un gioco da ragazzi, ma si può fallire, ed è qui che inizia un altro film" ha raccontato il Divin Codino.
La Juve?
"Non avevo nulla contro la Juventus, ma volevo rimanere alla Fiorentina. C'erano persone lì che mi avevano aspettato dopo aver trascorso i primi due anni di infortuni. Ci siamo innamorati l'uno dell'altro. Ho promesso che sarei rimasto. Il club di viola, in realtà, non è stato corretto perché mi avrebbe venduto senza dirmi nulla. Poi è stato fatto così, incolpando il giocatore dicendo che era un mercenario. Tutte bugie. Mi sono sempre piaciute le sfide. Concepisco infatti la vita come una sfida continua, con un grado di cultura che cresce, che aumenta mentre siamo sempre più preparati ad affrontarli. In questo senso la Juve è stata una sfida, ovviamente".
Gianni Agnelli?
"Persona con un carisma unico. Uomo di mondo, molto apprezzato per il suo stile unico e inconfondibile. Un grande appassionato di calcio che si arrabbierebbe se la squadra giocasse male. Amava la classe, infatti si dilettava con Renato Cesarini, Sivori, Platini... La sua passione erano i giocatori di qualità. Sono orgoglioso di averlo incontrato".
Ronaldo il brasiliano?
"Mamma mia! Che giocatore Ronaldo. Apparteneva al futuro. Ha giocato un calcio di tecnica e velocità in anticipo sui tempi. L'ho visto fare cose inaudite, che nessuno aveva fatto o pensato fino ad allora. Ronaldo era unico".
"Stiamo parlando di un marziano. Gli ho parlato in spagnolo. Gli ho chiesto con quale veicolo spaziale è venuto perché stiamo parlando di un calciatore di un altro pianeta".
Superllega?
"Penso che il calcio abbia bisogno di un rinnovamento. È indiscutibile. La velocità con cui il progetto è naufragato, però, deve farci ridere. Per navigare verso nuovi traguardi con nuovi progetti è necessario avere uomini capaci, con un'esperienza già consolidata. Non mi piacerebbe perdere l'opportunità di costruire un progetto necessario, perché il mondo cambia, le persone cambiano, e così anche la televisione. Detto questo, in ogni progresso volto a migliorare quello esistente, l'unica cosa che conta è che il beneficio sia per tutti e non solo per chi ci ha pensato. La creazione di valore non può e non deve essere un'illusione, un miraggio. Piuttosto il punto di partenza in cui ognuno di noi può fare la sua parte in ogni modo possibile. Dobbiamo creare una cultura dello sport, quindi anche del calcio, ma non dobbiamo mai dimenticare che appartiene al popolo".
L'ultima gara con l'Italia?
"Un'emozione unica, profonda, assoluta. Ero a Genova, e le sensazioni sono state simili a quelle vissute a Milano. Era l'addio a una maglia che mi è sempre sembrata speciale. Sono orgoglioso di difendere il mio paese e quei colori. È bello rappresentare le persone attraverso un simbolo che è passato da grandi campioni. Testimone di incredibili successi. Possiedo una collezione infinita di magliette, ma questa è il mio cuore. Ho giocato a calcio per la gente, per l'affetto e l'amore che mi hanno sempre mostrato".
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