Roma da De Rossi a Juric: le due ragioni principali di perplessità
La Roma dell'era Friedkin ci ha abituati a scelte sorprendenti e a un tempismo del tutto peculiare nella comunicazione di quanto deciso: si può partire dall'annuncio di Mourinho con Fonseca ancora in carica per arrivare fino all'ultimo colpo di scena, l'esonero ai danni di Daniele De Rossi dopo che, solo ieri, sembrava che la linea fosse quella della fiducia confermata al tecnico nonostante un campionato ancora privo di successi.
L'impressione più ingombrante che mai è quella di trovarsi in presenza di aspetti rimasti taciuti e di malumori tenuti sotto silenzio, impressione spesso forte attorno alle cose giallorosse: che qualcosa scricchiolasse s'intuiva già da settimane, le ultime parole profetiche di Totti hanno fatto drizzare le antenne a tanti ma non al punto da immaginare un epilogo così rapido.
Ciò che sorprende, poi, è anche la scelta compiuta dalla proprietà e dalla dirigenza giallorossa: puntare su Ivan Juric per sostituire De Rossi, allontanarsi dunque dai tanti profili ipotizzati come papabili per la panchina giallorossa e rivolgersi a un vero e proprio outsider. Outsider poiché privo di esperienza alla guida di una big ma, ancor di più, sorprendente per il profilo radicalmente distante da quello di De Rossi, forte di un contratto rinnovato lo scorso giugno, per ben tre stagioni e con annesso lauto ingaggio.
Una forza solo apparente, alla luce dei fatti, annientata dal paradosso di un esonero deciso a poche settimane dalla fine di un calciomercato - fino a prova contraria - costruito in collaborazione col tecnico, con linee guida che verosimilmente sarebbero state differenti con un allenatore diverso alla guida. Si parla, insomma, di costruire una casa con chi quella stessa casa non l'abiterà mai.
Juric per De Rossi: due ragioni di perplessità
Il primo motivo di perplessità di fronte all'addio di De Rossi riguarda, a monte, la rinuncia a un progetto che appariva di ampio respiro: come se quattro giornate avessero già mandato in fumo le fondamenta costruite negli ultimi mesi, come se ci si attendessero risposte immediate - da instant team - e non un processo più graduale. Un paradosso che si lega in sé alla scelta di interrompere il rapporto con De Rossi e che tradisce, evidentemente, problematiche più ingombranti e radicate rispetto al semplice riscontro dei punti e degli ultimi risultati.
C'è poi un ulteriore passaggio che spiazza, non tanto presente in astratto quanto a livello pratico, osservando la rosa a disposizione della Roma e del prossimo tecnico Juric. Si passa cioè da un tecnico che si è sempre detto votato al dominio delle partite, anche sul fronte del possesso e del fraseggio, a un allenatore che potremmo collocare sul fronte opposto e che regala un calcio più verticale, fatto di pressing alto e di ripartenze, un calcio dispendioso e tale da presupporre doti fisiche e atletiche di primo piano dai suoi interpreti.
Il nodo esterni
Un aspetto che più di altri preoccupa riguarda le corsie esterne, anche ripensando al tipo di elementi che Juric utilizzava al Toro sulle fasce, nel 3-4-2-1 che verosimilmente applicherà alla sua Roma. Esterni di gamba, elementi in grado di agire a tutta fascia: niente che incontri ciò che offre oggi la rosa della Roma, al netto degli elementi ancora da scoprire come Dahl o Abdulhamid. Né Angelino né Celik sembrano rappresentare il prototipo dell'esterno di Juric, neanche El Shaarawy adattato appare una scelta del tutto convincente a causa di un evidente problema di equilibrio e di propensione offensiva del Faraone.
Le incognite in questo senso abbondano ed è evidente che il centrocampo di Juric dovrà essere scoperto partita dopo partita, a differenza di difesa e attacco già più leggibili a priori e forti di elementi più congeniali (Mancini, Hummels, Ndicka o Hermoso in difesa, Pellegrini e Dybala alle spalle di Dovbyk in avanti, con Soulé come alternativa di lusso ai trequartisti e Baldanzi come ulteriore soluzione). Al di là della valutazione sulle scelte in sé, oggi, ciò che sorprende è la tempistica di un simile ribaltone e la distanza radicale tra i profili dei due tecnici: indizi, agli occhi della piazza, di una direzione ondivaga e poco chiara nella gestione del club.