Le tante verità sul triangolo Commisso-Gattuso-Mendes: sullo sfondo il primato dei club
Nell'arco di pochi giorni, anche di poche ore, si passa nel calcio dal ruolo di sprovveduti a quello di paladini. Uno schizofrenico cambio di prospettive, fondato su basi più o meno aleatorie, che si è ripetuto con forza anche pensando a quanto accaduto tra la Fiorentina e Gennaro Gattuso, con un clamoroso addio arrivato a 20 giorni dall'ufficializzazione dell'ex Napoli come nuovo tecnico.
Evidente che sul fronte comunicativo e mediatico l'episodio abbia fatto più danni della grandine: da un lato sono suonate surreali (a posteriori e alla luce dei fatti) le parole d'amore rivolte da Commisso al tecnico, d'altro canto lo stesso Gattuso, considerate anche le voci sul Tottenham, è stato additato da qualcuno come pronto a salire sulla barca più ricca e attraente, lasciando quella che versa in acque meno piacevoli da navigare. Il mistero avvolge la questione come una fitta nebbia, che risponde al nome di "patto di riservatezza", tale da scatenare la solita ridda di voci, presunte verità, altre verità più vere di quelle precedenti perché arrivate da fonti incredibilmente vicine ai protagonisti. E di certo, se quelle proposte come verità sono decine, è palese che qualcuna di queste scricchioli. Impossibilitati come siamo, con onestà intellettuale, a capire se esista una ragione effettiva (e da che parte stia) rimane però qualche punto fermo, se possibile, da individuare.
C'è chi ha criticato la Fiorentina partendo da questa base: come puoi tu rivelarti insofferente al ruolo di Jorge Mendes, desideroso di piazzare i suoi assistiti a cifre importanti, se poi al contempo ti affidi ad altri agenti in modo continuo e quasi sistematico? In sostanza i viola vengono tacciati di una certa ipocrisia, di adottare due pesi e due misure quando si parla del rapporto coi procuratori. Il nodo della questione però, al di là del ruolo ormai da tempo cruciale dei manager (superagenti o meno in vista che siano), è quello connesso allo status delle società: il club è il baricentro, lo snodo centrale, e non può mai ridursi ad essere accessorio alle esigenze esterne, di questo o di quel singolo, e dei suoi interessi (per quanto leciti).
Ma non solo per il semplice e mero "il proprietario mette i soldi, quindi decide lui" ma per una sana comprensione dei ruoli e delle responsabilità nell'ottica di far crescere una società, di tracciare una strada: i dirigenti hanno tutto il diritto di avvalersi del lavoro dei procuratori, senza demonizzarli a priori, ma il discorso diventa differente quando l'agente (e non si parla solo del caso specifico viola) deborda e diventa persino più decisivo di direttori sportivi e massimi dirigenti di un club calcistico. Il corto circuito a quel punto diviene evidente ed evitare che accada, di fatto, può essere un input virtuoso, da assecondare e da coltivare con attenzione in un sistema calcio sempre più ammaccato e da reinventare.
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