Sentimenti e pallottole: stesso cinema, due film diversi
I fraintendimenti fanno parte della quotidianità, sono piccole deviazioni che appartengono a pieno titolo alle cose di ogni giorno: può capitare, per assurdo, che si decida di trascorrere un pomeriggio o una serata al cinema e che si finisca nella sala sbagliata, sovrappensiero.
Ricolmi di bei sentimenti ci si prepara ad assistere a una commedia romantica, ci si dispone naturalmente per farci prendere da momenti di leggerezza e di tenue commozione, accorgendoci invece - quando è troppo tardi e il film è ormai iniziato - di essere finiti nella sala accanto a quella scritta sul biglietto.
Ecco che dallo schermo partono pallottole, schizzi di sangue, esplosioni, scene esplicite di violenza, niente insomma che per cui si fosse pronti o per cui avessimo comprato il biglietto. La normalità delle cose vuole che, consci dell'errore, si esca dalla sala o comunque che s'incolpi noi stessi del piccolo misunderstanding: una logica banale che però, evidentemente e fuori di metafora, non si applica al calcio.
Migliaia di persone hanno sbagliato sala, assistono quotidianamente ai proiettili e alle scene pulp, ma restano del tutto convinte di essere entrate per il film giusto, restano sedute lì, continuano a commentarlo come fosse quella commedia romantica a cui pensavano di assistere e si concedono persino smorfie di disgusto, di biasimo.
"Dovrei dire due parole allo sceneggiatore, è uno scandalo che in un film così succeda questo..." pensano i presenti in sala, ancora schiavi di quel fraintendimento originale, ancora inconsapevoli. Si va persino oltre: c'è chi si appunta le frasi pronunciate dall'attore protagonista, lo incontra per strada e gli chiede conto di cosa ha affermato nel film: "Ma tu nel film avevi detto...".
L'attore ci prova, prova a spiegare che si trattava di una sceneggiatura, che non era effettivamente lui a parlare e che quel pensiero non era davvero il suo, ma lo spettatore non sente ragioni, non glielo perdona. Succede così che due attori, due che sanno fare il loro lavoro, vedano irrompere nella loro quotidianità spettatori arrabbiati per qualcosa che è accaduto in un film. Per una parola detta male, per un colpo di scena sgradito.
C'è un pubblico difficile, un pubblico che non ascolta o non comprende il sottotesto ma neanche ciò che viene detto esplicitamente: in questo film non c'è spazio per baci e carezze, per parole gentili, è un genere diverso e succedono altre cose (spesso brutte, spesso sanguinolente). Quello stesso pubblico si erge poi a critico e recensisce il film, secondo i propri criteri falsati alla radice, volendo spiegare al regista come si fa il suo mestiere.
Oppure gli stessi spettatori reclamano una loro parte, come in un bambinesco gioco di ruolo provano a svincolarsi dal posto di comparsa per prendersi una propria battuta, per chiedere all'attore di "promettere qualcosa", per dirgli quanto sia o meno "degno", per pretendere un colloquio personale. Tutto questo, sì, solo per aver comprato un biglietto del cinema e per essere entrati nella sala accanto, confondendosi.